Veronica Marchi, Songwriter, Stage & Home, Verona, Italy

Veronica Marchi

“Sto imparando a camminare di nuovo, credo di aver aspettato abbastanza. Da dove ricomincio?”. Così canta David Grohl, leader del gruppo rock Foo Fighters, nella canzone “Walk”, traccia numero 11 dell’album “Wasting light” del 2011. Una canzone che da sola è valsa la conquista del Grammy Award come migliore canzone rock e un MTV Video Music Award nella categoria Best Rock Video nel 2012. Veronica Marchi, raffinata cantautrice veronese e superba interprete, nel suo ultimo album “coVer”, con un tocco da vera maestra, dà a questo brano un potere diverso, così intimo e introspettivo da conferirgli una nuova vita.

Veronica Marchi intraprende molto presto la sua carriera artistica. Sin da bambina ottiene numerosi consensi esibendosi in svariate manifestazioni e concorsi.

 

Una carriera precoce la sua, costellata di successi e illustri collaborazioni con artisti del calibro di Cristina Donà, Niccolò Fabi, Nada, Antonella Ruggiero, Marta Sui Tubi, Davide Van de Sfroos, Eugenio Finardi solo per citarne alcuni.

Il debutto ufficiale come cantautrice arriva nel 2005, con l’album omonimo “Veronica Marchi” prodotto artisticamente dalla stessa cantautrice in collaborazione con Mauro Magnani.

Il 2008 è l’anno del suo secondo album L’acqua del mare non si può bere che contiene il singolo “Splendida Coerenza” grazie al quale si aggiudica il primo posto ed il premio della critica al Giffoni Music Concept. Da qui inizia un percorso lungo e solitario sino all’agosto del 2011, quando Veronica Marchi entra in studio con Maddalena Fasoli, Andrea Faccioli e Nelide Bandello per registrare il terzo album intitolato “La guarigione”. Nel giugno 2014, dopo una fortunata campagna di raccolta fondi sulla piattaforma Musicraiser, Veronica Marchi pubblica il suo primo album da interprete intitolato “coVer”.

IMG_1493Il nostro incontro con Veronica Marchi ci ha svelato una donna genuina, delicata e senza maschere. Una musicista raffinata, oltre che una preziosa interprete, alla quale non serve molto, è sufficiente l’accompagnamento di una chitarra acustica per coinvolgere il pubblico in un’atmosfera intensa e al contempo intima.

Veronica Marchi ci accoglie nella sua casa, un appartamento affacciato sul verde delle Mura di Porta San Zeno, a Verona, dove vive assieme a Marvel, il suo affettuoso golden retriever, e il suo gatto Batú.

Grazie Veronica per averci accolto in casa tua. Possiamo considerare il tuo appartamento come il tuo spazio creativo principale e nello stesso tempo il luogo in cui tieni le tue lezioni di canto?

Casa mia è entrambe le cose. Qui è dove trovo ispirazione per comporre e dove svolgo la mia attività di insegnante di canto. Per questo motivo il mio appartamento non è solo un luogo dove tornare la sera, ma è parte fondamentale della mia vita.

La scelta di  vivere in questo quartiere è stata una scelta consapevole, legata anche al tuo percorso emotivo e professionale?

Ho cambiato tantissime abitazioni negli ultimi anni. Mi è sempre piaciuta l’idea di avere la possibilità di scegliere; tuttavia, quando sono entrata in questa casa, ho percepito una sensazione diversa. Forse non incanta quanto altri appartamenti in cui ho vissuto, ma qui dentro ho sentito un’energia nuova, una sorta di risonanza quasi perfetta.

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Anche se coltivo ancora un sogno: quello di avere una dimora con all’interno il mio studio di registrazione. La immagino in un posto più isolato, come ad esempio un bosco. È un desiderio che serbo dentro di me da tanto e sono sicura che prima o poi diventerà realtà. Tuttavia, per quanto io ritenga la mia casa il rifugio ideale per comporre e suonare, ho imparato, per forza di cose, ad adattarmi. Una volta ero molto legata alla casa dei miei genitori dove componevo sempre nello stesso angolo, vicino ad una finestra.  Iniziando a viaggiare in tournée ho imparato a scrivere canzoni e provare melodie in qualsiasi contesto.

«coltivo ancora un sogno: quello di avere una dimora con all’interno il mio studio di registrazione. La immagino in un posto più isolato, come ad esempio un bosco. È un desiderio che serbo dentro di me da tanto e sono sicura che prima o poi diventerà realtà».

Come catturi i momenti d’ispirazione che ti portano a realizzare un nuovo pezzo?

Da bambina ero legatissima a determinati luoghi nei quali mi sentivo a mio agio per poter scrivere nuovi brani. Crescendo ho cominciato a catturare anche le idee che sopraggiungono in un istante. È cambiato profondamente il modo di lasciarmi ispirare dalle cose e dagli ambienti, e così ora registro tutto quello che mi sento di dire. Mi lascio andare a quello che accade intorno a me. Ad esempio, il brano “La passeggiata” è nato esattamente così, mentre camminavo, e le parole mi sono venute in mente una dietro l’altra dando inizio ad un processo inarrestabile.

IMG_1406Hai scritto la tua prima canzone all’età di nove anni, mostrando subito un grande talento musicale e canoro. Hai mai percepito una sorta di aspettativa nei tuoi confronti?

Il fatto di aver cominciato così presto ha creato subito un’aspettativa esagerata per questo classico caso di enfant prodige”. Mi sono sentita spesso fuori tempo, come costretta a  rincorrere qualcosa che mi stesse sempre sfuggendo. È un po’ quello che succede quando il curriculum si fa di volta in volta sempre più lungo e arrivano i commenti delle persone che riversano enormi aspettative sull’artista. Il mio carattere mi ha portato ad allontanarmi un po’ dall’idea che gli altri si erano fatti di me. Oggi posso dire di sentirmi appagata della mia carriera: il fatto di vivere di musica rappresenta già un successo di per sé; tuttavia, quando passa così tanto tempo dagli esordi di una carriera, ti senti volente o nolente,  sempre un po’ in ritardo.

In questo percorso uno dei miei capisaldi è stata la mia famiglia: partecipando a concorsi canori fin da bambina, non ho avuto quella che si può definire un’infanzia convenzionale per una bambina di quell’età, tuttavia ho sempre fatto esattamente quello che volevo, senza nessuna imposizione esterna. E in questo ho avuto il loro totale appoggio.

C’è stato un preciso momento in cui hai deciso di voler diventare una musicista?

No. La volontà di vivere e respirare musica ha sempre fatto parte di me. Ho un carattere molto determinato: vado dritta per la mia strada, e a volte fatico a vedere gli angoli.

Veronica Marchi - TCB1

Ci sono stati anche momenti difficili in cui ho dovuto soffermarmi e capire quali fossero le cose più importanti. Se dovessi trovare un momento preciso lo collocherei subito dopo aver scritto la mia prima canzone all’età di nove anni. È un ricordo estremamente vivido perché mi sono sentita esattamente me stessa.

«La volontà di vivere e respirare musica ha sempre fatto parte di me. Ho un carattere molto determinato: vado dritta per la mia strada, e a volte fatico a vedere gli angoli».

Fra le tante cose, hai rivestito anche il ruolo di produttrice. Come ti ritrovi in questa veste?

Recentemente ho prodotto un talento emergente, la cantante Maria Sole . L’ho fatto perché ritengo che la sua voce trasmetta delle emozioni. Oggi mi piace misurarmi con artisti diversi, non devo produrre per forza qualcosa che rimandi necessariamente al mio stile.

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La produzione è un aspetto del mio lavoro che mi interessa molto, in quanto costituisce la naturale evoluzione dell’insegnamento, significa andare oltre il ruolo del coaching vocale ed essere parte integrante di un progetto.

Nella mia carriera ho scritto tantissimi brani, solo per me. Ora è come se volessi iniziare a condividere con altri la mia esperienza di musicista, non solo con l’insegnamento ma anche attraverso le canzoni. Si tratta di una strada con un percorso lunghissimo ma autentico. Ultimamente mi è capitato anche di comporre su commissione. Ho scritto una canzone per un progetto dal titolo “Anatomia Femminile”, nato dall’idea del giornalista musicale Michele Monina e piú recentemente ho partecipato alla stesura di un libro interattivo per una ditta che produce pale eoliche con un brano che parla del vento.

La mia carriera è sempre stata contraddistinta dal rifiuto dei compromessi. Di conseguenza, scrivere per conto terzi ha rappresentato, fin da subito, una sfida con me stessa, soprattutto nel confronto con stili musicali diversi dal mio. Se sono libera di esprimermi, però, la trovo un’occasione in grado di arricchirmi dal punto di vista professionale.

Credi che si tratti di un’evoluzione personale oltre che di una scelta professionale?

Direi che le cose coincidono. Per chi fa un tipo di musica come il mio, dove non si punta praticamente mai sull’immagine ma sul contenuto, quest’ultimo coincide per forza con la tua vita, la tua evoluzione e la tua crescita. Ho imparato con il tempo a smussare lati del mio carattere: aspetti che hanno ostacolato inconsapevolmente la mia carriera, soprattutto in momenti in cui avrei potuto prendere al volo treni molto importanti. Ero convinta di non dover cambiare nulla di quello che componevo. Con il tempo e l’esperienza ho imparato a essere più malleabile.

Negli ultimi tempi ti sei cimentata anche in un tour in Europa dell’Est. Come valuti un’esperienza in un contesto geografico e musicale così differente da quello italiano?

Mi sono esibita in contesti molto particolari ed intimi sia in Polonia che in Repubblica Ceca. Posso dire di avere vissuto un’esperienza incredibile e al contempo straordinariamente intensa. Di solito, durante le mie esibizioni tendo a parlare con il pubblico tra un brano e l’altro, quasi a voler coprire i silenzi. In questa tournèe non ho proferito parola. Questo perché ho percepito un’attenzione e una partecipazione talmente forti, da rendere superflua qualsiasi cosa che non fosse semplicemente musica.

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Quest’esperienza mi ha fatto pensare che, alla fine, l’intensità dei momenti che si crea in un concerto regala sempre un’emozione, anche nel caso in cui il testo non venga compreso perché in lingua straniera. Un’emozione è in grado di passare oltre le parole.

«Un’emozione è in grado di passare oltre le parole».

Hai ricordi di altre esibizioni dal vivo che ti hanno regalato delle forti emozioni?

Di emozioni ne ho vissute a centinaia ma se proprio dovessi raccontarne una, la scelta cadrebbe sul mio primo incontro con Niccolò Fabi nel 2004. Ero in procinto di pubblicare il mio primo album di inediti e venni contattata dalla responsabile comunicazione dell’università di Verona che mi prospettò l’opportunità di suonare un mio pezzo durante l’intervento che Niccolò avrebbe tenuto sul tema della scrittura di canzoni da lì a pochi giorni.

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Essendo una sua fan fin dai tempi di suoi esordi, la sola idea di poterlo incontrare mi aveva già regalato un’emozione indescrivibile. Quando lo incontrai nel camerino mi accolse abbracciandomi e chiedendomi cosa avrei cantato sul palco. Con una disinvoltura che stupì anche me risposi che avrei voluto esibirmi con “Lasciarsi un giorno a Roma”. Niccolò mi chiese di sentirla; in un attimo ci trovammo a cantare insieme. I brividi mi presero dalla punta dei piedi fino alla testa: non alzai mai lo sguardo durante questo duetto improvvisato e quando mi chiamò sul palco, durante il suo intervento, cantò assieme a me, lui al pianoforte e io alla chitarra, e successivamente mi invitò a suonare un mio brano; cantai “Bambina”, una canzone che ho scritto quando ero adolescente e che parla di sogni, di volare via dalla realtà e di tornare a giocare, a vivere. Forse in quel momento della mia vita ho davvero sognato di volare: fortunatamente però era tutto reale e Niccolò è esattamente come appare, una persona genuina. Mi ha insegnato molto di quello che sono ora.

In merito al fatto di esibirsi davanti a platee numerose, cosa ne pensi invece della tua partecipazione ad un evento veronese di Sofar Sound, un progetto di musica dal vivo in cui luogo e artista sono sconosciuti al pubblico fino a pochi attimi prima dell’inizio della performance?

È un’esperienza che ha un sapore di imprevedibilità e conquista nello stesso tempo. La reazione del pubblico si percepisce immediatamente: lo stupore, la sorpresa, la recettività o semplicemente la delusione. La condizione intimista mi piace molto, spesso sono stata io a ricercarla esibendomi tanto in locali quanto in contesti domestici e confidenziali.

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Il tuo ultimo album “coVer” contiene 11 brani che, in modi diversi, hanno lasciato un segno indelebile nella musica degli ultimi anni. Ad ognuno di questi brani hai conferito una nuova personalità reinterpretandoli secondo il tuo stile e le tue sonorità. Cosa significa per te “affrontare” testi musicalmente così importanti?

Quando realizzo una cover mi dimentico dell’artista, arrivo quasi a scordarmi la composizione originale: è come se riscrivessi da capo la canzone. Cerco di percepire l’emozione del testo e di comprendere se il brano può star bene addosso a me, quasi come fosse un abito sartoriale. Così è stato per ognuno degli undici pezzi contenuti nell’album, in modo particolare per “Walk” dei Foo Fighters. Sono da sempre innamorata di questa canzone e ascoltandola ad un loro concerto sono letteralmente impazzita. È un brano nel quale mi identifico molto, soprattutto in questo periodo in cui ho l’esigenza, ancora una volta, di rinnovarmi per me stessa e soprattutto per chi mi segue da tanti anni.

A proposito di rinnovamento e cambiamento, tu sei nata a Verona ed eserciti la tua professione di musicista principalmente in questa città: non hai mai avuto voglia di andare via? Ad esempio all’estero.

La prima volta che ho pensato di andare via da Verona è stato in seguito ad una crisi personale. Volevo trasferirmi a Roma. Ho capito, però, che il problema era un altro e ho deciso di risolverlo qui. Ho preferito scavare dentro di me anziché portarmi i problemi dietro.

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È affascinante l’idea di abbandonare il “nido”, perché si fanno nuove esperienze, tuttavia io preferisco muovermi per poi ritornare a Verona, perché questa città mi piace, è bella e mi piace l’Italia. Potrei valutare di muovermi dal mio Paese solo nel caso in cui avessi un progetto vero e concreto. Ma in fondo, perché non proviamo ad essere coraggiosi e rimanere?

Articolo: Maria Pia Catalani   Shooting fotografico: Adriano Mujelli 

Maria Pia Catalani

Contributor - Writer

Chimico dall'anima soul, si divide fra il mondo che ruota attorno alla tavola periodica di Mendeleev e quello delle sette note. Assume quotidianamente più volte al giorno razioni massicce di musica; tutta, quella bella, e di prima qualità, ovviamente.