Eliseo Franchini, Tattoo Artist, Workplace, Trento, Italy

Avete presente gli studi di tatuaggi pieni di teschi, pareti scure, oggetti gotici?
Ecco, scordateveli.
Eliseo Franchini non è un tatuatore che si incontra spesso: il suo studio richiama l’atelier di un pittore, i suoi provini sono sparsi dappertutto, quasi a dare un senso di creatività continua.

I colori delle pareti sono tenui, il pavimento è chiaro e poi c’è lui, una persona tranquilla, così tanto da credere che sia in pace con il mondo. Gentile e timido, ti guarda dritto negli occhi, va al di là delle apparenze, vuole capire chi sei, chi ha davanti.
Una sorta di empatia imprescindibile per chi fa questo lavoro, dove spesso il lato estetico è legato a un significato emotivo profondo.

Hirsch Tattoo-2300Conosciuto come uno dei migliori nella tecnica Watercolor, forse proprio per la sua provenienza artistica, è riuscito a portare dalla carta alla pelle le caratteristiche “pennellate” di colore. Una mano perfetta per un tratto illimitato.

Eliseo Franchini non è un tatuatore che si incontra spesso. Il suo studio richiama l’atelier di un pittore, i suoi provini sono sparsi dappertutto, quasi a dare un senso di creatività continua. I colori delle pareti sono tenui, il pavimento è chiaro e poi c’è lui, una persona tranquilla, così tanto da credere che sia in pace con il mondo. Gentile e timido, ti guarda dritto negli occhi, va al di là delle apparenze, vuole capire chi sei, chi ha davanti.

Eliseo, raccontaci la tua storia. Come hai iniziato?

Mi sono diplomato nel 2001 all’istituto d’arte e poi ho cominciato a lavorare come illustratore in un’agenzia pubblicitaria di Trento. Il passaggio al mondo dei tatuaggi è stato casuale, non ne avevo e nemmeno mi piacevano! A scuola avevo provato tutte le esperienze, mi mancava la pelle come superficie, così tutto è cominciato per una pura curiosità artistica.

Lavorare su una tela viva è completamente diverso da lavorare su carta, canapa o muro, e questa cosa mi affascinava. Ho avuto la possibilità di mettermi alla prova in uno studio a Rimini che mi ha preso subito a lavorare, insegnandomi i trucchi del mestiere e tutto quello che ruota attorno a questo mondo. Ovviamente il primo tatuaggio l’ho fatto su di me.

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Come è stato?

Eh! (ride) Bella esperienza! È stata una sensazione strana, perché stavo capendo che era quello che volevo fare nella vita, cosa che non avrei mai pensato. Poi, ovviamente, c’è la paura dell’errore.

È venuto bene?

No, ma non ho mai tolto nulla. Ho questo rapporto con i miei tatuaggi, le mie gambe sono tutte prove, ho ancora dei lavori iniziati e non finiti ma li lascio così. Fanno parte della mia storia.

Hirsch Tattoo-2183Con quale stile hai cominciato?

Ho iniziato con il realismo, anche se non proprio con i disegni classici, la tecnica era comunque quella di trasportare il disegno dalla carta alla pelle. Dopo sono passato ai ritratti e in questo mi ha aiutato molto la mia esperienza pubblicitaria, avendo lavorato con l’aerografo era più facile prendere un’immagine fotografica e riportarla in tatuaggio.

 

La pelle non è una superficie perfetta, piana, non hai la grammatura. Come si gestisce?

Ci vogliono anni per capire realmente ogni tipo di pelle come si comporta. Ho anche avuto la fortuna di trovare persone che mi hanno trasmesso il loro sapere. Per esempio, sulla pelle tipica delle persone con capelli rossi, il nero non sarà mai nero ma grigio.
Se qualcuno te lo ha spiegato o lo hai già provato puoi avvisare il cliente, altrimenti può essere che torni a chiederti «Perché il mio è grigio?».
O ancora, all’estero ho imparato che tutte le pelli dei Paesi nordici sono favolose da lavorare perché, mangiando molto pesce, sono ricche di grassi e questo aiuta la guarigione della cicatrice. Inoltre sono meno cotte dal sole, la definizione su questo tipo di pelle è pazzesca.

 

Prima di arrivare alla pelle vera e propria, hai mai provato dei “surrogati” come la pelle sintetica o le arance?

No. Secondo me essere la cavia di noi stessi è la cosa principale. Io non mi fiderei di un tatuatore che non ha un tatuaggio o che non ha mai tatuato sé stesso anche perché, lavorando su di te, hai una doppia percezione: quella del tatuatore e quella del cliente. Una volta mi hanno tatuato e poi pulito con un panno non inumidito a sufficienza: sulla ferita questa sensazione di secco è davvero fastidiosa. Lì mi sono chiesto «Ma lui saprà cosa vuol dire?». Sono piccoli accorgimenti che riesci ad avere solo se li hai provati su te stesso.

«Essere la cavia di noi stessi è la cosa principale. Io non mi fiderei di un tatuatore che non ha un tatuaggio o che non ha mai tatuato sé stesso». Eliseo Franchini

Hirsch Tattoo-2188Di solito quante ore tatui di seguito?

Su un cliente lavoro massimo tre ore, perché una persona non può sopportare di più. C’è da valutare sempre che stai lavorando sul corpo e sulla guarigione della ferita, è il minimo dell’etica. Anche queste sono cose da spiegare al cliente, perché adesso sono abituati a vedere in tv gente che tatua la schiena in mezz’ora e allora capita che chi è alla prima esperienza entri in negozio e voglia fare tutto il fianco in un’unica volta.

Parliamo della tecnica Watercolor. Hai iniziato spontaneamente, data la tua passione per la pittura?

No, esisteva già in Germania, Polonia, Paesi dell’Est. A livello artistico questi ultimi stanno sfornando artisti di un certo livello, sperimentano e provano cose nuove. Noi, invece, siamo un po’ fermi in questo senso. Poi ho visto un artista di Genova, Moro, un illustratore che riportava sulla pelle schizzi molto freschi, quasi disegni da libri per bambini, e mi ha aperto la mente. Vedi stili nuovi, altri artisti in Germania (che lavorano molto sul disegnato) e metti tutto insieme, provi.
Non sono tanti a usare lo stile Watercolor: è una tecnica che non ha una linea spessa e definita, c’è meno contrasto con la pelle e quindi molti pensano, erroneamente, che si cancelli, ma è solo una percezione visiva.

Inizialmente hai scelto come punto centrale questa tecnica, mentre adesso ti stai creando un vero e proprio marchio, passando da Watercolor Tattoo a Hirsch.

È una di quelle cose che mi sogno di notte e il giorno dopo devo mettere in pratica perché se no sto male! Avevo bisogno di trovare qualcosa che mi rappresentasse, sia sul lato creativo che sul lato pratico.
La differenza la fai se curi tutto nel minimo dettaglio, se riesci a trasmettere la passione che hai, per questo ho voluto creare un ambiente accogliente dove i clienti si possono sentire a proprio agio e non spaventati.

Hirsch, il tuo marchio, è il termine tedesco che definisce il cervo: cosa rappresenta per te?

È il re dei nostri boschi, maestoso ed elegante. Mi è capitato di vederlo un paio di volte da piccolino quando andavo a funghi con la nonna: la senti subito questa bestia da due quintali che cammina su zoccolini, il terreno freme.
Ho scelto lui perché rappresenta il legame che ho con la mia terra (il Trentino ­Alto Adige), la natura, il territorio, la storia come l’uomo di Similaun che hanno trovato in queste zone e ha più di 53 tatuaggi sul corpo che tutt’ora stanno studiando. Tutti tasselli che vado a mettere insieme. Sono stato spesso lontano dall’Italia, ho viaggiato molto: Stati Uniti, Europa, Paesi Nordici, ma casa è sempre casa.

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Com’è il tuo rapporto con la parte pratica, da creativo?

La mia compagna è commercialista, lei dice che sono il cliente peggiore!
In realtà sono abbastanza strano, creo ma sono quadrato, è una caratteristica della gente di montagna, molto pragmatica. Non vivo sulle nuvole, capisco come devono essere fatte le cose. Avendo studiato e imparato a scuola che di tutti gli artisti solo un decimo è riuscito a vivere d’arte, scopri che devi dargli un valore, non svenderla e nemmeno renderla troppo commerciale: bisogna spiegare lo studio che c’è dietro e il tempo che serve per crearla. Questo è fondamentale. Purtroppo tante persone hanno rovinato la piazza nel settore creativo perché chiedevano poco o troppo rispetto all’effettivo valore.
E, forse, penso troppo in là.

Quando hai aperto il tuo studio?

Quando ho deciso di fare questo lavoro, ormai dieci anni fa. Ho fatto un periodo a Rimini, poi a Pescara da un’artista che mi ha dato tanto, Maila. Poi ho lavorato in vari studi fino ad aprire il mio, quattro anni fa.

Le persone sono arrivate con il passaparola?

Sì. Non mi piace mettermi sulla piazza e ho sempre avuto paura delle cose che arrivano in fretta. Il marketing va bene, ci sta perché è lavoro, però giusto un pizzico per fare partire le cose, poi il resto lasciamolo andare e vediamo se ha delle potenzialità.
Se per la fretta inizi a sbagliare è un attimo bruciarsi, come il cantante che sbaglia una canzone o il testo, sei finito.

Ho sempre fatto le cose con calma da quel punto di vista, le ho studiate bene, riviste. Ai miei clienti chiedo sempre di tornare, sia per aiutarli nella fase di guarigione, sia per capire cosa posso migliorare, capire com’è quella pelle e come reagisce. L’essere attenti è quello che ti porta a crescere, inutile dare la colpa al cielo o al destino se hai fatto uno sbaglio: hai sempre la possibilità di scegliere e di trovare la soluzione migliore.

I clienti hanno sempre un’idea precisa di quello che vogliono o si fanno consigliare?

Di fronte al primo tatuaggio, una cosa che tengo a fare con i clienti o con i collaboratori, è aprirgli un po’ gli orizzonti perché è facile fossilizzarsi su una cosa: poi gli fai vedere altri dieci artisti che fanno lo stesso genere e scoprono nuovi mondi.
Noi crediamo di scegliere, in realtà spesso si arriva con un’immagine perché sono settimane che la vedi girare sui social network, ma noi non ce ne rendiamo veramente conto. L’immagine sui giornali, social e televisione ha cambiato molto il mondo del tatuaggio. Prima i tatuaggi si tenevano nascosti, piccoli e in punti coperti. Adesso è stato sdoganato, si può mostrare in quasi tutti i luoghi di lavoro, si vedono cantanti e modelle tatuati e sono più grandi e visibili. È giusto che ognuno sia libero di tatuarsi quello che vuole, ma da tatuatore cerco sempre di personalizzarlo, così non sarà mai un copia/incolla dalla rivista.

A volte, in alcuni studi, se arriva la richiesta di tatuare un soggetto visto e rivisto, si corre il rischio di venire trattati in malo modo. Ma ognuno ha la propria storia e dietro un soggetto banale può comunque nascondersi un significato profondo. Si deve avere molta delicatezza.
Le persone ti arricchiscono, conosci molte situazioni diverse, bisogna sempre cercare il lato positivo che ognuno ha. È una cosa che mi fa stare bene.

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«Ognuno ha la propria storia e dietro la richiesta di tatuarsi un soggetto banale può comunque nascondersi un significato profondo. Bisogna avere molta delicatezza». Eliseo Franchini

 

Nel tatuaggio giapponese classico c’è una forte importanza della scelta del disegno perché conferisce alla persona caratteristiche che, secondo la loro tradizione, vanno ad equilibrare certi difetti. Ad esempio, alcuni disegni sono realizzati allo scopo di infondere coraggio. L’approccio europeo, invece, è molto differente. Qual è il tuo punto di vista in proposito?

In Europa forse ha più un valore estetico, per questo cerco sempre di seguire le linee del corpo, non lo metto mai casualmente: lo studio, guardo se può risultare bene quando il corpo si muove. Mi piace vederlo come un vestito, quindi va bene anche fare un tatuaggio per moda: ognuno potrà poi legarlo ad un significato. I tatuaggi di cui parli sono legati alla Yakuza (organizzazione criminale Giapponese, ndr): questi simboli servono anche per riconoscersi all’interno del gruppo, poiché in Giappone è vietatissimo parlare di tatuaggi o tatuarsi tuttora e tanti famosi tatuatori giapponesi sono affiliati a questa organizzazione. Io lascio a loro i significati, come anche quelli dei gruppi motociclistici, vedi sigle, numeri, etc.

Quindi in maniera parallela è presente anche a livello europeo un senso di aggregazione attraverso un tatuaggio?

Sentirsi parte di un gruppo è forte nel tatuaggio, soprattutto in diversi stili, nel mio poco. Da me vengono persone di ogni genere e di ogni età, non c’è un filone che può essere musicale o di gusto, o almeno finora non me ne sono accorto. Credo diventerebbe un po’ un controsenso nella tecnica Watercolor racchiudere un gruppo con simboli o fare dei soggetti simili, perché è una tecnica dove non hai dei bordi o dei confini, lascia molto spazio, anche quando guardi un disegno. Non avendo qualcosa di definito lascia la mente aperta a quello che ci può essere dopo, potrebbe diventare quasi un controsenso che qualcuno sia uniformato su quel tatuaggio perché appartiene a un gruppo, una nicchia. Io ho avuto questa impressione ed è il motivo per cui la sceglierei, lascia aperte a tante cose, non racchiude.

Ti capita di dover coprire un tatuaggio che c’era già e quindi mischiare due stili differenti?

Me lo chiedono spesso, ma faccio fatica per un gusto estetico. Per assurdo questo stile sta bene su una persona che non ha tatuaggi, perché la pulizia che può avere una macchia di colore, una pennellata, l’apprezzi su un corpo che non ha tatuaggi. Se inizi a essere pieno di tatuaggi e magari belli contrastanti e forti non torna, no?

È difficile da imparare questa tecnica?

Non saprei, a me viene naturale.
Probabilmente non me ne rendo conto, però avendo in passato lavorato nel mondo della pubblicità, dove c’era un iter preciso prima di presentare la proposta al cliente, con l’illustrazione che veniva studiata, ripresa in mano, rivista nei colori e nel tratto, credo che mi sia rimasto molto di questo modo di eseguire il lavoro. In tanti dicono che faccio l’artista, ma non è così: l’artista crea la propria idea, io parlo col cliente, sento cosa vuole rappresentare e quali sono le sue sensazioni, perché può essere un momento bello o brutto. Cerchi di portare su pelle quello che la persona ti sta raccontando, per un artista può essere una limitazione, a me invece piace, mi mette alla prova.

Tatui a mano libera?

A volte sì, in questo caso ringrazio i reality sui tatuatori perché fanno vedere chi sta disegnando a mano libera, così almeno adesso si stupiscono meno se ti vedono con un pennarello in mano, cosa che una volta era difficilissimo da far capire.

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Se hanno portato qualcosa di positivo è proprio questo: si vedono alcune cose che poi mi risultano più semplici da spiegare al cliente, perché non tutto può essere disegnato su carta, stencil e ricalcato.

Continui comunque a dipingere?

Sì, bene o male non ho mai smesso, è stata anche una valvola di sfogo, mi ha sempre accompagnato e non sono mai riuscito a staccarmi completamente dalla pittura.

Ti commissionano anche quadri?

Qualcuno me lo ha chiesto, ma per ora non ho accettato. Mi piacerebbe avere un bel po’ di materiale e magari esporlo, ma su questo sono sempre stato un po’ combattuto.

Hai anche creato una linea di prodotti: quanti ne servono per i tatuaggi?

Di base serve una crema lenitiva. Non ho creato una linea di prodotti per tatuaggi, ma “anche” per tatuaggi perché la pelle è pelle e va trattata bene comunque.

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Lavorandoci tutti i giorni volevo dare una continuità con un prodotto che servisse anche a chi non li ha. È una crema completamente naturale, studiata con un laboratorio specializzato, senza residui di petrolati, senza siliconi e senza conservanti. Per la crema corpo siamo partiti da un loro prodotto esistente, lo abbiamo migliorato e personalizzato sulle essenze, invece per le due creme utilizzabili sia per la cura del tatuaggio, sia per abrasioni e dermatiti, siamo arrivati alla formula studiandola insieme.

Quali sono i tuoi prossimi obiettivi?

Sto sperimentando con me stesso. Mi sto appassionando alla pittura giapponese, la vedo molto vicina al mio genere. È anche un momento di crescita a livello aziendale (Eliseo Franchini ha inaugurato il suo nuovo studio nel quartiere Le Albere lo scorso 30 aprile, ndr), invece per quanto riguarda scambi con altri artisti e convention, che ho sempre fatto, sono un po’ fermo. Sono rimasto un po’ deluso dagli ultimi eventi, è diventato tutto molto commerciale. Inoltre, credo non sia giusto che la gente si possa tatuare durante una convention.
Preferisco collaborare con artisti che conosco, rimanendo all’interno degli studi.

Come consiglieresti di scegliere il tatuatore? Cosa può dare fiducia?

Sicuramente informarsi tanto e conoscerlo di persona. Certo è difficile capire quale potrebbe essere il tatuatore giusto, ma credo comunque che la professionalità si possa percepire.

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Capita spesso che alcuni tatuatori finiscano sulle riviste perché è entrato il personaggio famoso, ma non è detto che sia stato scelto perché effettivamente è bravo. Quindi direi che informarsi bene, osservare e conoscere sia il modo migliore per scegliere.

Si può effettivamente parlare di “sensazione a pelle” in questo caso?

Sì. È vero che è un disegno, ma comunque ti fai mettere “le mani addosso” da quelle persone. Io ho cercato di creare un ambiente dove, se fossi il cliente, mi sentirei a mio agio, dove una persona possa sedersi e bere un caffè. Chi lo fa per la prima volta la ricorda come un’esperienza importante, non vedo perché non dovrei arricchirla.
Senza escludere che, se metti a proprio agio il cliente, lavori meglio: se una persona è agitata te ne accorgi subito e fai fatica a lavorare.

Grazie alla tua notorietà in campo nazionale potresti tranquillamente aprire uno studio a Milano, che costituisce il centro di gravità per le mode e i trend in Italia. C’è un motivo particolare per il quale preferisci rimanere in Trentino?

Non so se è una sorta di rito, verso il tatuaggio (che nasce come rituale) e verso la terra che mi ha creato. Io vengo da un paesino che fa 200/250 abitanti ed è a quasi 50 km da Trento: la chiusura mentale l’ho vissuta sulla mia pelle, Trento mi sembra una metropoli. È vero, mi accorgo che tanta gente viene da Verona e Milano quindi, effettivamente, se dovessi fermarmi a fare due conti sulla carta, mi renderei conto che sul territorio forse non sono cosi tanti quelli che vengono da me. Però vedo che comunque le persone arrivano al mio studio. Io ho due passioni: i tatuaggi e lo sci. Sono diventato insegnante di sci otto anni fa e secondo me l’Alto Adige è una terra affascinante, racchiude tutto quello che sono.

Abbiamo parlato di situazioni e opportunità che città maggiormente predisposte alle nuove tendenze possono offrire. C’è qualcosa del tuo lavoro e della tua persona che sono parte integrante di questa terra e che non sarebbero potute nascere altrove?

Non voglio sembrare spavaldo parlando della mia terra, ma Giorgio Moroder è nato a Ortisei in val Gardena: ha inventato la disco music ed è il più grande discografico al mondo con due premi Oscar all’attivo.Hirsch Tattoo-2178
Credo che la montagna predisponga a una sorta di meditazione, forse perché siamo molto legati alla natura. La mia paura di andarmene è proprio quella di non trovare spazio per questo. Ho deciso di vivere in un convento vicino a Rovereto, un luogo immerso nella natura, dove si seguono ancora i suoi ritmi e dove c’è tranquillità. Forse, rispetto alla gente di città, le persone di montagna sono meno libere: a Londra, per esempio, tutto è alla luce del giorno, sei bombardato da immagini, colori, modernità, mentre nella società di montagna se ti metti il calzino rosa è scandalo. Ma questo ti dà un’energia diversa per creare, siamo sicuramente più chiusi all’inizio, ma pian piano scopri che sotto c’è qualcos’altro. A noi serve guardare immagini semplici, come una persona chinata su un prato a raccogliere un fiore, e la poesia che c’è dietro a quella visione.

Nei miei lavori c’è tutto questo, natura compresa.

Articolo: Valentina Da Col     Shooting fotografico: Adriano Mujelli

Valentina Da Col

Contributor - Writer

Dall'abbigliamento è passata alla comunicazione, con qualche deviazione nel wedding planning. Fa di tutto per depistarsi, ma sa quello che vuole. Lato oscuro dei social, il suo essere altoatesina l'ha resa precisa in molte cose, tranne sull'orario.