A.G.I.L.E. Architects, Verona: il recupero dall’abbandono

Una città ricca di cultura e di storia: questa è Verona. Il fitto tessuto architettonico romano e medievale, che ancora si percepisce bene, è la testimonianza di un bagaglio di memorie che non possono e non devono essere cancellate.

È un luogo straordinario per varietà e qualità di piazze, strade, vicoli e scorci che intersecano la vivacità contemporanea, rendendola davvero multiforme. Ma, come tutte le città, non è esente dalla presenza di luoghi abbandonati e in degrado e dall’esistenza di strutture erette e poi dimenticate la cui funzione potrebbe essere rivitalizzata traendone, in questo modo, nuova luce e dignità. Questo è l’obiettivo principale dell’associazione A.G.I.L.E (Arte Giovani Impresa Lavoro Ecc.), un gruppo di giovani professionisti appartenenti a diversi settori, accomunati dall’amore per la propria realtà urbanistica e guidati dalla precisa volontà di ripensare e recuperare spazi che, altrimenti, andrebbero definitivamente perduti.

Li ho incontrati in una delle loro attività di sensibilizzazione sul tema, scoprendo dei ragazzi pragmatici e convinti del fatto che solo con l’impegno attivo è possibile provare a cambiare la prospettiva delle cose. A raccontarmi la loro storia ci hanno pensato Michele De Mori e Francesca Lui.

(ndr: le immagini del presente articolo sono riferite alla visita alla ex provianda di Santa Marta, illuminante esempio di recupero e riuso di complessi di archeologia industriale. Michele De Mori, presidente di A.G.I.L.E, ci ha fatto da guida in questa visita).

Quali sono state le premesse che hanno portato alla costituzione di A.G.I.L.E.?

Francesca: possiamo dare la “colpa” ad una convergenza di idee di persone che per mentalità, sensibilità e visione d’insieme hanno deciso di fare qualcosa per riportare alla luce il patrimonio edilizio abbandonato o poco conosciuto della nostra città.

Michele: tutto è nato nello studio di un ingegnere che stava lavorando alla possibilità di portare sui Bastioni Austriaci della città una manifestazione legata alla street art. Alessandro, futuro membro di AGILE, stava infatti sviluppando la sua tesi di laurea in architettura proprio sul recupero della cinta magistrale durante il suo tirocinio presso lo studio dell’ingegnere. Da questo incontro è nata l’idea dell’Associazione.
Questa prima esperienza ci ha convinto della bontà dell’idea che vi stava alla base: la necessità di proporre idee nuove e concrete per il recupero edilizio dei luoghi abbandonati nostra città e cercare di creare luoghi di aggregazione per realtà giovanili che hanno bisogno di spazio per non essere soffocate.

 

 

Da questa riflessione è nata, nell’estate del 2012, l’Associazione A.G.I.L.E (Arte Giovani Impresa Lavoro Ecc.) formata dal sottoscritto, Alberto Bragheffi, Roberto Tavella, Alessandro Scalia, Barbara Alberti, Filippo Olioso e Rossana Boni. Nacque come associazione multidisciplinare, con una spiccata propensione verso l’architettura, ma ad oggi si può considerare quasi alla stregua di uno studio professionale, avendo tra le nostre fila professionalità quali sociologi, architetti e anche organizzatori di eventi.

Francesca: l’associazione ha preso poi vita nel corso degli anni, raggruppando persone e professionalità che avevano come comune interesse il recupero e il riuso del territorio. Il motivo di tale comunione d’intenti è presto detto: non si può continuare a costruire edifici senza soluzione di continuità e senza criteri di sostenibilità.

«Non si può continuare a costruire edifici senza soluzione di continuità e senza criteri di sostenibilità».

Michele: Il primissimo progetto di A.G.I.L.E mirava proprio a sensibilizzare l’opinione pubblica su questo tema ed era costituito da un piano di proposte per il recupero delle strutture dell’ex zoo comunale. Si trattava di un progetto da veri e propri “sognatori”, dove l’innocenza dettata dall’entusiasmo non ci ha permesso di capire subito quali fossero le problematiche reali da affrontare quando si parla di un recupero di tali dimensioni.

Messa nel cassetto questa prima idea, ci siamo dedicati a qualcosa che fosse alla nostra portata.
Con il nostro secondo progetto, denominato “Dietro L’Angolo”, abbiamo selezionato degli spazi urbani, come il sottopasso pedonale di Porta Vescovo e il sotto cavalcavia di viale Piave, nei quali, nonostante lo stato di abbandono,  avevamo intravisto grandi potenzialità, grazie alla struttura integra e al buono stato di conservazione generale. Abbiamo quindi presentato al Comune delle idee che consentissero di ridare vita a questi luoghi: ottenuto l’assenso dalle autorità comunali, il nostro progetto ha avuto inizio.
Una volta riscontrato il grande successo di questa iniziativa, abbiamo proseguito proponendo altre idee e accendendo piccoli raggi di luce su altre situazioni urbane abbandonate che meritavano una seconda opportunità.

Come vi collocate nel contesto politico – sociale della vostra città?

Michele: A.G.I.L.E ha un interesse principale: attirare l’attenzione sul potenziale inespresso del territorio urbano, in particolare quello in disuso, e sulla sua storia. L’Associazione è assolutamente apartitica: ci preme evidenziare le problematiche del territorio e studiarlo. Siamo senza colore politico e così vogliamo rimanere.

Vi siete occupati del censimento del patrimonio edilizio abbandonato di Verona, proprio con lo scopo di portare i cittadini alla consapevolezza di quanto non conoscono del contesto urbano in cui vivono.

Francesca: abbiamo mappato Verona, strada per strada, palmo a palmo, segnalando tutti i luoghi abbandonati ed evidenziandone le caratteristiche in termini di superficie e dimensioni. Analizzare in prima persona ogni metro della propria città a piedi o in bicicletta, sapendo che i tuoi compagni stanno facendo lo stesso, porta a scoprire edifici e aree urbane che in nessun’altra occasione avremmo esplorato in modo così diretto. Una volta terminato il lavoro di rilievo siamo passati alla fase operativa di assemblaggio dei dati e della loro analisi, restituendo una realtà costituita da 555 luoghi abbandonati, tra case, capannoni e interi palazzi.

«Abbiamo mappato Verona, strada per strada, palmo a palmo, segnalando tutti i luoghi abbandonati ed evidenziandone le caratteristiche in termini di superficie e dimensioni».

Avete constatato nella vostra ricerca alcuni casi eclatanti di abbandono con un potenziale di recupero elevato?

Francesca: senza dubbio il magazzino approvvigionamenti dismesso delle Ferrovie dello Stato di Porto San Pancrazio. Ogni luogo abbandonato ha una storia, antica o recente che sia, ed è importante conoscerla per poter capire se e come sia possibile intervenire sul suo abbandono.

Il deposito, costruito negli anni ’80, era uno dei centri tecnologicamente più avanzati in Europa per lo smistamento dei materiali. Dopo circa un decennio di attività è stato chiuso, nonostante un impegno notevole di risorse e suolo. È composto da una serie di ampi capannoni in ottimo stato con banchine perfettamente utilizzabili e difficilmente demolibili. Si tratta di un esempio di una vasta area recentemente edificata e urbanizzata, con grandi potenzialità, ma inutilizzata a causa del mancato raggiungimento di un accordo territoriale su cosa farne in caso di dismissione.

Michele: Il caso dell’Arsenale di Verona è a mio avviso l’esempio più eclatante. Il passaggio di consegne dalla gestione dell’Esercito al comune di Verona è datato ai primi anni ‘90 e all’epoca lo stabile si trovava in buone condizioni. Ad oggi lo stato di degrado e di incuria è inaccettabile. Il problema sta nel lasso di tempo che intercorre tra il primo giorno della dismissione di un edificio e l’inizio del degrado. Se si fosse trovato un accordo immediato sull’utilizzo degli spazi disponibili oggi non staremmo assistendo ad uno spettacolo desolante.

Facendo le dovute proporzioni, ci sono realtà metropolitane, soprattutto europee, che stanno facendo del recupero dell’abbandono il loro mantra. Ad esempio, a Londra sono stati tolti ad una situazione di degrado svariati quartieri, riuscendo a convertire vecchie strutture in luoghi di aggregazione. Anche in Italia si possono citare casi virtuosi, come ad esempio il restauro delle Officine Reggiane. A Verona pare, invece, che manchi la sensibilità verso questo tema.

Michele: è sempre necessario contestualizzare le cose, altrimenti il paragone non regge. Verona ha delle caratteristiche che rendono difficile la riflessione sul recupero creativo e innovativo dei luoghi abbandonati. Parliamo di una città dalla grande tradizione agricola, con un background culturale sicuramente differente da Londra. Una città che, anche dal punto di vista storico-urbanistico è rimasta per secoli isolata all’interno delle sue mura.
Verona è poi legata a due simboli: il mito di Giulietta e Romeo e l’Arena. Due fonti di attrazione talmente forti da far dimenticare quante potenzialità inespresse abbia la città. È come se Verona vivesse di rendita. Il fatto non costituisce di per sé un elemento negativo, ma questo apparente benessere fa sì che si faccia molta fatica ad esplorare nuove risorse.
Verona è seduta su di una poltrona e la trova molto comoda.

«Verona è legata a due simboli: il mito di Giulietta e Romeo e l’Arena. Due fonti di attrazione talmente forti da far dimenticare quante potenzialità inespresse abbia la città. È come se Verona vivesse di rendita. Il fatto non costit».

La sfida si fonda nel tentare di far convivere più sensibilità e sul mostrare come questa città possa vivere anche arricchendosi di contaminazioni, sia recuperando contesti urbani ed edifici del passato sia aprendosi a nuovi sviluppi.

Si possono annoverare esempi virtuosi di recupero urbano che possano indicare una sorta di via per il futuro?

Michele: sicuramente l’ex provianda di Santa Marta, per quanto ancora l’intero complesso non sia ancora terminato. Si tratta senza ombra di dubbio di un ottimo intervento dal punto di vista architettonico, mentre rimane ancora da valutare il rapporto con il quartiere di Veronetta.

 

 

Questo lo si potrà fare solamente quando tutto il comparto sarà terminato ed entrerà a regime. La speranza è che si riesca a creare quella mixitè tanto importante per avviare un vero recupero del territorio. Fondamentale sarà l’apporto del nuovo parco e molto dipenderà da come questo verrà mantenuto e gestito, perché un parco pubblico può diventare il gioiello di una città come anche il suo incubo peggiore.

Massimo Vignelli, indimenticato designer italiano, amava sostenere che la propria vita poteva essere definita una lotta perpetua contro la bruttezza. Nel vostro caso la bruttezza può essere rappresentata dall’abbandono di contesti architettonici urbani che potrebbero essere in grado di tornare a nuova vita?

Francesca: la mia lotta personale contro la bruttezza consiste nel contribuire ad indagare e far conoscere il patrimonio edilizio inutilizzato o poco valorizzato, sia antico che contemporaneo. In questo modo si agisce in favore di quelle zone della città considerate di scarso valore o degradate. Motivo, questo, ritenuto sufficiente per realizzare interventi poco rispettosi del contesto e del territorio e noncuranti dell’impatto che avranno in futuro.

Michele: l’esistenza di un luogo abbandonato non costituisce di per sé elemento di bruttezza ma, al contrario, può sviluppare un grande interesse: quello della sua trasformazione e rivitalizzazione per tornare ad avere una nuova vita. Come in una sorta di sogno ad occhi aperti, tutti possiamo immaginare una nuova città.
Mi piace ricordare l’esempio degli ex Magazzini Generali di Verona, i quali, nel lungo periodo di abbandono dai primi anni ’90 ai primi anni 2000, si trasformarono in un importante polo culturale (nel vero senso del termine) nato in modo spontaneo grazie all’attività di alcuni visionari e alla libertà di movimento ed espressione tipica di quei luoghi, dove la presenza più importante è quella dell’assenza.
L’aspetto orribile per me è rappresentato dalla banalità del costruito, dalla superficialità sia della pianificazione in grande scala, sia dei dettagli (penso all’arredo urbano e a quanto sia poco considerato). La bruttezza è legata alla paura nell’assumere decisioni e alla burocrazia che spesso ostacola il pensare in modo creativo.

Articolo: Mauro Farina  Shooting fotografico: Luca Wallner

A.G.I.L.E. è una libera associazione di giovani. costituita con lo scopo di stimolare, accrescere e diffondere l’interesse verso le dinamiche architettonico-urbanistiche e sociali del territorio. L’interesse di A.G.I.L.E. è particolarmente rivolto ai luoghi abbandonati e in disuso, ossia spazi strategici della città e del territorio nei quali è possibile avviare oggi importanti processi di rigenerazione urbana e di promozione di attività culturali e sociali, sensibilizzando la cittadinanza sull’importanza ricoperta da questi luoghi .

Fanno parte di A.G.I.L.E

– Michele De Mori , Architetto
– Andrea Galliazzo, Architetto
– Emilia Quattrina, Architetto
– Nicolò Tedeschi, Designer
– Francesca Lui, Architetto
– Glauco Labruna, Ingegnere

Hanno collaborato e collaborano con A.G.I.L.E

– Alessandro Scalia
– Roberto Tavella
– Giulio Cattazzo
– Enrico Marchi
– Barbara Alberti
– Filippo Olioso
– Alberto Bragheffi
– Michela Angileri
– Marco Buonadonna
– Silvia Laface

 

Mauro Farina

Founder - Creative Content Manager

Altoatesino di nascita, bolognese nel cuore e veronese d’adozione, vive in simbiosi con la sindrome del bambino di fronte alla vetrina del negozio di giocattoli. Vorrebbe comprare tutto, ma non potendoselo permettere sublima raccontando ciò che divora con gli occhi.