Valentina Marchei, Pattinatrice: vola come una farfalla, pungi come un’ape.

Valentina Marchei è la pattinatrice italiana che ha rinunciato a partecipare alle prossime Olimpiadi in Corea nel singolo del pattinaggio artistico per farlo, invece, in coppia. Scopriamo i retroscena di questa decisione.

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«Ho dedicato buona parte della mia vita a pattinare da solista: una carriera di vent’anni che non si può dimenticare, ti rimane addosso come il vestito che ti piace di più o le scarpe così comode da non poterne fare a meno».

Valentina Marchei ha compiuto un gesto al giorno d’oggi sempre più raro: si è rimessa in gioco. Dopo vent’anni da protagonista nelle competizioni singole del  pattinaggio artistico, cinque campionati italiani vinti, un quarto posto agli Europei 2013 e una partecipazione olimpica a Sochi 2014, anni di allenamenti trascorsi lontano da casa tra Russia, Lettonia e Stati Uniti, Valentina Marchei non prenderà parte alla gara del singolo di pattinaggio artistico alle ormai imminenti Olimpiadi Invernali di Pyeongchang, in Corea del Sud, ma lo farà in coppia.


Una decisione, quella di abbandonare le competizioni soliste per ricominciare da capo nel programma di coppia, che Valentina Marchei ha preso quattro anni fa e che ha richiesto coraggio e dedizione. Ad affiancarla in questa avventura olimpica, come da ormai quattro anni a questa parte, ci sarà Ondrej Hotárek, già bronzo iridato agli Europei del 2013 nel pattinaggio di coppia.
«Decidere a ventott’anni di buttarsi in una nuova avventura, seppur affiancata da un pattinatore di cui conoscevo l’esperienza anche perché mio compagno di Nazionale, non è facile da accettare e da comprendere, soprattutto da parte di chi ti sta da sempre intorno. Però io sono sempre stata così: una ragazza che ha portato fino in fondo tutto ciò che cercava o si sentiva di fare, consapevole anche della possibilità di fallire. Ondřej si allenava nella mia stessa pista e dopo l’Olimpiade di Sochi abbiamo cominciato quasi per scherzo ad allenarci in coppia, la sua specialità, con l’idea di fare qualche esibizione estemporanea.

 

«Reinventarsi in una nuova disciplina dopo anni ad alto livello e con un’età che per uno sport come il pattinaggio è già da considerarsi elevata non è un’impresa facile. Se ho impiegato cinque minuti a convincere il mio partner ad accettare la sfida, ci ho messo molto di più per fare la stessa cosa con la mia allenatrice». Valentina Marchei

Il tutto però funzionava così bene che non ci è voluto molto per capire che valeva la pena pensare ad un percorso di carriera comune. A quattro mesi dal nostro esordio siamo diventati campioni italiani e poco dopo quarti assoluti agli Europei. In quel momento abbiamo preso la piena consapevolezza di poter puntare a concludere insieme il quadriennio ponendoci le Olimpiadi di Pyeongchang come traguardo».

 Non è stato facile però far digerire una scelta così drastica. «Abbiamo dovuto convincere fin troppe persone, compresa la mia stessa allenatrice: non certo per una sua mancanza di fiducia nelle nostre capacità, ma perché era consapevole di quanto potesse essere particolarmente difficile, soprattutto per me, rimettersi in gioco così profondamente. Reinventarsi in una nuova disciplina dopo anni ad alto livello e con un’età che per uno sport come il pattinaggio è già da considerarsi elevata non è un’impresa facile. Se ho impiegato cinque minuti a convincere il mio partner ad accettare la sfida, ci ho messo molto di più per fare la stessa cosa con la mia allenatrice».

Come ha influito a livello personale questo tuo passaggio da una disciplina ad un’altra?

«Passare dal pattinaggio singolo al pattinaggio a coppie mi ha letteralmente rivoluzionato la vita. Pattinare tanti anni come singola mi ha fatto maturare e capire fino in fondo cosa vuol dire essere un’atleta, farlo in coppia mi sta facendo diventare donna.


La nostra è una storia d’amore sportiva che deve funzionare per forza, dove impari l’arte e il valore del compromesso: se prima ero portata a leccarmi le ferite, a motivarmi e a risollevarmi da sola, ora io devo essere capace di cullare il sogno del mio partner e lui il mio, condividendo le responsabilità e buttandosi tutti i dubbi alle spalle. Ho imparato a essere più paziente, a gestire meglio il rapporto con un’altra persona».

«L’empatia rappresenta un’arma a doppio taglio: durante l’esibizione devi essere in simbiosi con il partner, ma allo stesso tempo essere molto fredda per prendere in mano la situazione quando è richiesto anche se non sei tu ad essere in quel momento il leader della coppia.» Valentina Marchei

Nonostante la vostra provenienza da due pianeti diversi (tu specialista del singolo mentre Ondrey era già un affermato pattinatore di coppia) siete stati facilitati nel vostro percorso da un’amalgama spontanea fin dalle vostre prime esibizioni. Come siete riusciti a cementare questa sintonia?

«L’empatia che abbiamo oggi non è certo la stessa che avevamo all’inizio, così come il modo di concentrarsi e gestire lo stress era molto differente. La nostra disciplina è fatta di ritmi: se riesci a prendere il tempo assieme al molleggio del partner che ti sta a fianco, è naturale che poi i ritmi di coppia coincidano, anche se non sempre il fisico è in grado di rimanere sufficientemente lucido e presente per poter gestire i momenti critici.

Per questo l’empatia rappresenta un’arma a doppio taglio: durante l’esibizione devi essere in simbiosi con il partner, ma allo stesso tempo essere molto fredda per prendere in mano la situazione quando è richiesto anche se non sei tu ad essere in quel momento il leader della coppia».

Nel pattinaggio artistico la coppia che si esibisce sul ghiaccio è solo la punta visibile di un team totalmente dedito a curare e migliorare la vostra performance. Anche in questo caso possiamo parlare di “simbiosi necessaria” tra voi e il vostro staff?

«Il nostro è uno sport nel quale gli aspetti su cui lavorare sono molteplici. Il nostro team si compone di un coreografo, un preparatore atletico, la prima allenatrice tecnica oltre a un’allenatrice specialista che ci affianca in alcuni periodi dell’anno. Ogni elemento del team ha sempre rispettato il suo ruolo senza mai andare oltre e farsi valere sugli altri, perché la direzione nella quale vogliamo andare e gli obiettivi sono comuni e condivisi da tutti.

Siamo in grado di condividere i nostri stati d’animo e anche di cambiare in corsa la tipologia di allenamento se ci rendiamo conto di avere in quel momento altri aspetti più importanti su cui lavorare. Abbiamo anche un mental coach che, oltre a lavorare sulla nostra capacità di gestione mentale e psicologica di una gara, ci ha anche dato molte nozioni sulla comunicazione tra noi e questo ci aiuta a velocizzare l’amalgama. Perché più la comunicazione è diretta e semplice e più siamo in grado di lavorare e progredire velocemente».

Il pattinaggio artistico su ghiaccio è una disciplina nel quale l’atleta deve fare i conti con la possibilità di commettere un errore durante l’esecuzione del programma. Come riesci a non farti condizionare da una simile eventualità?

«Il pattinaggio è una disciplina fatta di prese e di leve, se queste coincidono io posso salire più in alto possibile nel volteggio. Però la possibilità di errore è sempre presente e le cadute possono essere all’ordine del giorno. Il concetto imprescindibile da seguire è quello di farsi scivolare addosso le cose, regola che ci siamo dati anche come coppia nel nostro rapporto personale.

Perché anche se si cade durante lo svolgimento di un programma non è detto che tutto sia perduto: ‘’importante è fare una cosa alla volta, accettare l’errore e concentrarsi sul movimento successivo. Sono state vinte delle Olimpiadi anche con degli errori. Nel pattinaggio esiste una componente soggettiva molto importante che è quella dei giudici ed è per questo motivo che ogni esibizione fa storia a sé.


Possono esserci gare in cui la vittoria si gioca sui centesimi di punto e tante altre più “disastrate” dove emerge la coppia che non ti aspettavi per il fatto di essere stata capace di eseguire un programma pulito».

«Il pattinaggio è una disciplina fatta di prese e di leve, se queste coincidono io posso salire più in alto possibile nel volteggio. Però la possibilità di errore è sempre presente e le cadute possono essere all’ordine del giorno. Il concetto imprescindibile da seguire è quello di farsi scivolare addosso le cose». Valentina Marchei

Sei figlia d’arte: tuo padre, Marco Marchei, è stato olimpico di Maratona a Mosca 1980 e Los Angeles 1984. Un’atleta che, anche solo per la natura della disciplina sportiva, era abituato alla fatica e alla necessità di mantenere una forte tenuta mentale.

«Ancora oggi ogni tanto gli chiedo come faceva a resistere per 42 chilometri! Noi pattinatori facciamo tanta fatica, ci alleniamo indossando pesi alla ricerca della forma fisica perfetta perché sarà l’unica cosa su cui si potrà contare nei momenti di stress. Devo ai geni di mio padre il fatto di essere nata con un cuore forte e abituato agli sforzi, per questo ho una soglia di fatica più alta della media.  Sono cresciuta nella generazione di Karolina Kostner, una ragazza dal talento enorme nata per fare la pattinatrice. Ciò che Karolina imparava in poco tempo a me richiedeva il doppio dello sforzo e per questo dovevo faticare e lavorare di più. Ma lavoro e fatica non spaventano mai se sei consapevole del tuo obiettivo».

Una volta calato il sipario sulle Olimpiadi, la stagione si chiuderà con i campionati mondiali al Forum di Assago. Lo stesso palcoscenico dove vent’anni fa, da ragazzina, venisti scartata nella selezione per diventare una dell flower girls (giovani pattinatrici che raccolgono i fiori lanciati dagli spalti alla fine di un’esibizione, ndr.)

«Si, è vero (ride), venni scartata come flower girl per i Campionati Europei del ’98. Ho iniziato a pattinare proprio al forum di Assago nell’ormai lontano ’93: e indipendentemente da qualsiasi decisione prenderemo io e Ondrey per la nostra carriera, finire questo anno olimpico vicina ai genitori, amici e tifosi sarà la cosa più bella.

Sarà per noi la degna conclusione: un po’ come tornare finalmente a casa dopo aver percorso tanta strada».

Articolo: Mauro Farina   Shooting fotografico: Giovanni Gallio & Sara Capovilla

Mauro Farina

Founder - Creative Content Manager

Altoatesino di nascita, bolognese nel cuore e veronese d’adozione, vive in simbiosi con la sindrome del bambino di fronte alla vetrina del negozio di giocattoli. Vorrebbe comprare tutto, ma non potendoselo permettere sublima raccontando ciò che divora con gli occhi.