Touch Rugby: the Italian Team on the road to Jersey

Non chiamiamoli pionieri, e nemmeno figli di uno sport minore. Sono ragazzi e ragazze da tutta Italia che dedicano ogni momento del loro tempo libero a preparare l’evento che chiuderà la loro stagione agonistica e rappresenterà il loro obiettivo principale: vestire la maglia della nazionale italiana al Campionato Europeo di Touch Rugby che si svolgerà nell’isola di Jersey dal 7 al 10 Luglio 2016.

Il Touch Rugby, appunto. Uno sport che si potrebbe pensare come elitario se ci soffermassimo solo al numero di praticanti. In realtà si tratta di una disciplina nata negli anni ’60 in Australia, sbarcata recentemente in Italia, ma con una solida tradizione nel resto del mondo.

Non chiamiamoli pionieri, e nemmeno figli di uno sport minore. Sono ragazzi e ragazze da tutt’Italia che dedicano ogni momento del loro tempo libero a preparare l’evento che chiuderà la stagione e rappresenterà l’obiettivo principale: vestire la maglia della nazionale italiana al campionato europeo di touch rugby.

Considerato per anni dal movimento rugbystico italiano poco più che un esercizio di allenamento, il touch rugby conta invece, nel resto del globo, decine di migliaia di praticanti, in particolare nei paesi anglosassosi. In Australia e Nuova Zelanda, ad esempio, svariati giocatori che militano o hanno militato negli All Blacks si sono formati giocando a Touch Rugby fin da adolescenti.

Il Touch è uno sport di squadra, variante del rugby a 13, in cui il placcaggio è sostituito da un semplice tocco dell’avversario. Dal Rugby il Touch preleva i due elementi fondamentali: la forma ovale della palla e quel concetto perverso di continuare a passare il pallone all’indietro per poter andare a segnare. Far indietreggiare l’avversario e metterlo in condizione di non poter più toccare l’attaccante. Perché nel Touch Rugby non esistono mischie, placcaggi e rimesse laterali, ma non per questo si lesina sull’atletismo e sulla spettacolarità delle azioni. Avendo a disposizione fino ad un massimo di 6 “tocchi” per poter segnare una meta, le azioni di gioco rappresentano un concentrato di corsa, dinamicità, atletismo e rapidità dei movimenti. L’altro aspetto che rende unica questa disciplina è la parità di genere: in Italia, come nel mondo, si gioca a squadre miste.

Dal Rugby il Touch preleva i due elementi fondamentali: la forma ovale della palla e quel concetto perverso di continuare a passare il pallone all’indietro per poter andare a segnare. far indietreggiare l’avversario e metterlo in condizione di non poter più toccare l’attaccante. Perché nel Touch non esistono mischie, placcaggi e rimesse laterali, ma non per questo si lesina sull’atletismo e sulla spettacolarità delle azioni.

Il Touch Rugby si gioca su un campo lungo 80 m, comprese le zone di meta, e largo 50 m; la partita dura 40 minuti, divisi in due tempi da 20 minuti con intervallo di 5 minuti; in caso di parità si disputa un tempo supplementare a oltranza, sino a quando una squadra realizza una meta.

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La rappresentativa italiana schiererà due squadre nelle categorie Mens Open e Womens Open: 16 ragazzi e ragazze selezionati da tutta Italia che stanno affinando gli ultimi dettagli della loro preparazione, desiderosi di misurarsi con i maestri continentali di questa disciplina. L’Italia avrà a che fare con nazioni dalla decennale tradizione nel mondo della palla ovale, sia nel rugby a 15 che nel Touch: Inghilterra, Galles, Scozia, Irlanda e altre nazioni emergenti quali Olanda, Germania e Francia.

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Tra tutti, abbiamo scelto di raccontare le storie di quattro giocatrici della nazionale femminile: ragazze che dedicano tempo e fatica per vestire la loro passione con l’azzurro della Nazionale Italiana.

Giulia Colombo, 29 anni, Event Manager

giulia colombo«Ho deciso di giocare a Touch Rugby dopo anni di nuoto e pallavolo e dopo aver iniziato a uscire con un ragazzo che già giocava. Ricordo ancora la mia prima partita in un torneo di Modena: non sapevo una regola che fosse una. Correvo ininterrottamente, spesso davanti alla linea del pallone, ed ero totalmente avulsa allo sviluppo delle azioni. Ciò nonostante, da quel giorno non me ne sono più andata. La molla che ha fatto scattare la passione è nata, tra le altre cose, da una connotazione: da come in campo potessero convivere realtà diverse: uomini e donne insieme nello stesso team e nello stesso campo. Impossibile trovare un altro sport così eterogeneo. Il Touch Rugby è uno sport che richiede tempo e abilità nel coniugare lo sport con gli impegni personali, ma sono sacrifici che vengono ricompensati dai risultati. Non so ancora come ci si possa sentire a vestire la maglia azzurra, non so bene come sarà, ma conto di provare sensazioni positive che mi permetteranno di giocare all’altezza. Ho disputato diverse partite in ambito europeo e ho visto il livello delle avversarie: abbiamo molto da imparare da questa competizione».

simona scaranello, 44 anni, impiegata

simona scaranello«Sette anni fa, dopo un anno di rugby e basket, accettai l’invito di alcuni ex rugbisti di Rovigo che avevano appena fondato i Bandiga, una delle prime squadre del neonato campionato italiano di Touch Rugby. Di questa disciplina adoro il rispetto delle regole e il rispetto per l’avversario, oltre al fatto di sentirsi parte di una grande famiglia nonostante un sano e indispensabile agonismo. I sacrifici per allenarsi dopo una giornata di lavoro sono tanti, ma la stanchezza svanisce non appena metto piede in campo, che sia per un allenamento o durante un torneo. Rappresentare il mio Paese in un campionato europeo è un onore e mi ritengo privilegiata a poter vivere e condividere questa esperienza di vita con le mie compagne di avventura. Non ho paura di affrontare avversarie che hanno più tradizione e sono convinta che con la giusta umiltà, spirito di sacrificio e la forza del gruppo usciremo dal campo sempre con la consapevolezza di aver dato il massimo».

marianna ronzoni, 33 anni, project manager

marianna ronzoni 2«Arrivo al Touch Rugby dopo anni da pallavolista prima e da giocatrice di beach volley poi: entrambi sport da cui ho dovuto prendere un pausa per motivi di lavoro. Ho scoperto questa disciplina nel 2009 accettando di seguire un gruppo di amici per partecipare ad uno dei primi tornei in Italia. Confesso che il primo approccio non è stato dei migliori. Con il tempo, però, ho iniziato a comprendere che il Touch è un gioco di velocità di esecuzione che richiede una rapidità nel prendere decisioni che in pochi altri sport ho ritrovato. È un gioco dove la potenza, ma anche l’esplosività, contano tanto e sono elementi in cui mi piace esprimermi. Inoltre, per quanto ridotto al minimo, c’è il contatto fisico che costituisce per me un elemento nuovo e interessante rispetto agli sport che ho praticato in passato.
Ogni volta che scendo in campo provo emozioni che si mischiano l’una all’altra. In ciascuna partita ritrovo la tensione agonistica che ho sempre ricercato in uno sport: quella forza che sembra una stretta allo stomaco, ma che alla fine è il combustibile che ti permette di esprimerti al meglio. Vestire la maglia azzurra è pura e semplice emozione. Nonostante il Touch Rugby non sia uno sport ancora molto diffuso, giocare per la propria nazione trasmette le stesse sensazioni che si possono provare in discipline più blasonate. Il nostro obiettivo è semplice: fare risultato contro le squadre al nostro livello e contro le favoritissime compagini britanniche, e riuscire a contenere il loro stile di gioco impostando il nostro. Vogliamo far ricredere tutte quelle squadre che ci stanno sottovalutando. E riusciremo nell’intento».

gaia colombo, 22 anni, studentessa

gaia colombo 2«Alterno la mia passione per il Touch Rugby a quella per la Mountainbike, disciplina che pratico da una decina d’anni e che quest’anno sono stata costretta a lasciare un po’ da parte, in vista dell’impegno per i campionati europei.
Il primo approccio con il Touch non è stato semplice e devo ammettere di avere opposto una certa resistenza iniziale: la mia paura era data dal fatto che il Touch Rugby è uno sport di squadra. Far parte di un collettivo sicuramente aiuta ma, soprattutto all’inizio, subivo molto il peso della responsabilità nei confronti dei miei compagni: sbagliare sarebbe stato un errore non solo per me, ma per tutta la squadra. Passati diversi anni posso dire di aver scoperto che la condivisione di un obiettivo fa sparire più in fretta l’ansia da prestazione. Ognuno ha un ruolo e un’importanza nella squadra.
L’esperienza in Nazionale mi esalta. Oltre a essere al debutto con la maglia azzurra, giocherò per la prima volta in una squadra tutta femminile: sono tutte nuove esperienze che, come tali, ti spingono ad affrontare tutto con estremo entusiasmo e curiosità. Sicuramente non sarà facile: le avversarie agguerrite non mancano, ma sono certa che sapremo difenderci. Dobbiamo solo concentrarci per dare il massimo, facendo tutto quello che sappiamo fare».

 

Le convocate per la Nazionale Italiana femminile: 

Marianna Ronzoni (Brianza Toucherz), Giulia Colombo (Brianza Toucherz), Giulia Sottocornola (Brianza Toucherz), Gaia Colombo (Brianza Toucherz), Marica Vizzuso (Leprotti Torino), Marie Pratz (Leprotti Torino), Paola Vecchione (Dolomiti Touch), Anna Rizzoli (Orange Belluno), Tania Saviane (Orange Belluno), Simona Scaranello (Bandiga Rovigo), Elena Lucchi (Turtlein Modena), Alessandra Sangiouolo (Turtlein Modena), Barbara Garcia (Touch Berlin), Diego Tramontin (Coach, Orange Belluno), Riccardo Ronzoni (Team Manager, Brianza Toucherz).

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I convocati per la Nazionale italiana maschile:

Giacomo Allaria (Brianza Toucherz), Nicolò Colombo (Brianza Toucherz), Stefano Corno (Brianza Toucherz), Stefano Bonanomi (Brianza Toucherz), Valerio Pasini (Brianza Toucherz), Lorenzo Landino (Roma Touch), Marco Valerio Battaglia (Roma Touch), Andrea Corcetto (Treviso Knight), Andrea Golinelli (Modena Touch), Federico Agostini (Verona Touch), Marco Bacchetti (Bandiga Rovigo), Diego Calanni (Allenatore, Dragoni Milano), Valentina Catenazzo (Team Manager, Brianza Toucherz).

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Articolo: Mauro Farina  Contributi fotografici: Nicolò Colombo

Mauro Farina

Founder - Creative Content Manager

Altoatesino di nascita, bolognese nel cuore e veronese d’adozione, vive in simbiosi con la sindrome del bambino di fronte alla vetrina del negozio di giocattoli. Vorrebbe comprare tutto, ma non potendoselo permettere sublima raccontando ciò che divora con gli occhi.