Simone Bramante, Brahmino, visual storyteller: sono stato un outsider

Simone Bramante, conosciuto come Brahmino, è considerato una delle star di Instagram. Ma prima di creare un profilo da oltre 900.000 mila follower ha dovuto lottare duramente per convincere datori di lavoro e aziende a seguirlo nelle sue idee innovative. Scopriamo la sua storia.

Simone Bramante – Brahmino – ha due occhi e un sorriso che parlano per lui. Me ne sono reso conto durante la mia preparazione al nostro incontro, curiosando sul suo canale Youtube tra i video che ha realizzato e dove appare in prima persona. In uno in particolare, il film di una giornata passata in compagnia dell’artista milanese Martina Merlini, è possibile notare come, concentrandosi solo su sguardo ed espressione, Brahmino riesca a esprimere tanto di sé: curiosità e dedizione totale al suo soggetto, profondo interesse per la storia che sta raccontando e passione per quello che fa.
Ritrovo il medesimo sguardo fin dal primo istante del nostro incontro alle porte di San Lazzaro di Savena, qualche minuto di distanza da Bologna, alla bocciofila del paese: un luogo importante per lui per ritrovare la sua dimensione familiare e ben distante come atmosfera dagli itinerari internazionali seguiti da Simone Bramante – Brahmino – per i suoi lavori commissionati. Sì, perché Brahmino oltre ad essere uno storyteller attivo in sei continenti è il primo fotografo italiano con oltre 900.000 follower su Instagram, uno dei primi in Europa a comprendere le potenzialità di un social media capace di reinventare la fotografia inserendo regole proprie e non scritte e rinnovando le logiche della comunicazione web.

Logiche che Brahmino ha compreso fin da subito intuendone il valore dirompente e portandolo a licenziarsi dal ruolo di art director di un’agenzia di comunicazione e intraprendendo il lavoro di visual storyteller. Una professione per la quale è stato capace di fondere il suo background di direttore creativo con quello di fotografo inserendo nei suoi lavori un tratto distintivo: l’uso particolare e personale del colori, la firma non scritta di qualunque suo lavoro.
Ne abbiamo parlato insieme in un pomeriggio avulso da connessioni web: una giornata “analogica” per un dialogo a tutto tondo sui suoi esordi, i successi e le proprie convinzioni.

– Gli inizi

«Ho un background di tredici anni come art director in diverse agenzie di comunicazione, arricchito da un biennio di lavoro nell’ambito della moda come direttore creativo per vari brand che mi ha permesso di entrare in contatto con svariati fotografi. In realtà avevo già iniziato a giocare con le macchine fotografiche fin dagli anni ’90, immergendomi in un ambiente ancora totalmente analogico ma senza alcuna velleità di sviluppare progetti in tal senso.

Alla nascita di mio figlio nel 2009 ricevetti in regalo una fotocamera digitale con cui iniziare a fare qualcosa di più serio. Mi dedicai a qualche esperimento di street photography in bianco e nero, lo stesso stile con cui avevo iniziato anni prima in analogico. Non ci volle molto perché iniziassi a lasciar fluire libero il mio pensiero creativo e a lavorare a progetti più strutturati. Poi è arrivato Instagram che ha avuto un enorme merito, quello di democraticizzare il mondo della fotografia».

– La chiave di volta

«Ero uno dei due creativi in un’agenzia di Bologna nel periodo d’oro delle applicazioni per mobile. Per questo motivo comprai uno smartphone per installare Instagram al solo scopo di testare la piattaforma e comprenderne le potenzialità: è difficile poter proporre progetti ai clienti se nemmeno tu conosci limiti e opportunità di uno strumento.

Nel mondo della pubblicità devi sempre trovare il modo di sorprendere con le tue idee il cliente nella fase di presentazione di un progetto. In quel caso stavo sviluppando progetti legati all’utilizzo di applicazioni mobile e, tra questi, uno che mi coinvolgeva direttamente essendo diventato padre da poco: ero partito ragionando sulla necessità di avere una babysitter referenziata e su come questa necessità potesse trovare soddisfazione, per questo lavorai per creare una piattaforma comprensiva della possibilità di transazioni economiche che permettesse di scoprire se e quali babysitter con buon feedback fossero disponibili nella mia zona. Avevo preparato un business plan e trovato degli investitori californiani quando era subentrato un nuovo problema: a lavoro ultimato mi sentivo già soddisfatto perché il bimbo era cresciuto e non avevo più bisogno di trovare una babysitter.

«…L’ho sperimentato sulla mia pelle nel 2010 quando cercai di convincere la mia agenzia a INVESTIRE sia sul mondo delle applicazioni che in quello dello storytelling con clienti buoni e affidabili, ricevendo sempre risposte negative per la sola paura di rischiare. Nel giro di due mesi me ne andai». Simone Bramante, Brehmino

Ero già andato oltre, irrimediabilmente concentrato su Instagram sia in termini di mera fotografia che per comprenderne il potenziale per progetti di comunicazione per brand. Facevo centinaia di test per capire sempre più cose: dapprima l’uso dei filtri e il formato quadrato, poi la possibile interazione tra macchina fotografica e smartphone.
L’avvento di Instagram mi ha permesso di iniziare a ragionare su un approccio alla fotografia diverso rispetto a quello che avevo utilizzato fino ad allora per interfacciarmi con i primi social media dedicati, come ad esempio Flickr, ma anche con la fotografia del ‘900».

– Il concetto di rischio

«Da un punto di vista professionale esplorare si rivela sempre una necessità. Credo che tutti i limiti professionali derivino da un vincolo culturale: non rischiare, non azzardare, non esplorare nuove strade per rimanere sul sicuro è quel tipo di approccio che ha portato tante agenzie creative alla chiusura. L’ho sperimentato sulla mia pelle nel 2010 quando cercai di convincere la mia agenzia a investire sia sul mondo delle applicazioni che in quello dello storytelling con clienti buoni e affidabili, ricevendo sempre risposte negative per la sola paura di rischiare. Nel giro di due mesi me ne andai».

– Il networking

«I social network hanno democraticizzato le relazioni. Instagram, nel caso specifico, lo ha fatto con la fotografia. Avendo lavorato nel mondo della moda e avendo conosciuto i fotografi che di quel mondo facevano parte, compresi fin da subito quanto fosse difficile poter arrivare a quei livelli, anche solo per la mancanza oggettiva di possibilità economiche.

I social, invece, se usati con coscienza e raziocinio hanno il valore di bypassare i circoli chiusi, quei mondi contraddistinti da una sorta di esclusività elitaria, permettendo anche agli outsider di poter emergere.
Quando iniziai non avevo in mano niente, solo la mia testa e le mie idee».

– I primi progetti

«Negli Stati Uniti avevano iniziato già da tempo a realizzare campagne di comunicazione su Instagram, quando ancora in Italia era assolutamente impensabile. Ero talmente convinto della potenzialità dello strumento che forzai io alcune aziende, tra cui Renault Italia, a realizzare piccoli progetti: sentivo che dovevo essere io a proporre per primo una cosa del genere. Quello è stato solo il primo dei tanti passi che ho dovuto compiere: dopo quel primo lavoro ne sono seguiti altri fino ad essere chiamato negli Stati Uniti per lavorare a campagne di comunicazione dedicate solo a Instagram.
Probabilmente ho avuto il merito di riuscire ad applicare tempi giusti, regole della comunicazione e passione per la fotografia».

«Il mio profilo Instagram ha nella descrizione la dicitura “storytelling first”. L’ho scelta perché voglio dare un valore a quello che sto facendo legandolo al racconto che faccio».

– Storytelling, first

«Il mio profilo Instagram ha nella descrizione la dicitura “storytelling first”. L’ho scelta perché voglio dare un valore a quello che sto facendo legandolo al racconto che faccio. Non ho faticato a spiegarlo perché prima mi sono relazionato con aziende statunitensi. Ho voluto lavorare all’estero proprio per potermi esprimere liberamente in un ambiente estremamente ricettivo e comprensivo alle proposte creative. Le aziende italiane hanno iniziato a cercarmi quando il mercato ha finalmente capito le potenzialità di questo strumento e, quando è arrivato il momento, non ho dovuto convincere nessuno.

Non mi sono mai considerato un fotografo puro perché la mia è una fotografia orientata alla comunicazione e non all’estetica pura. Uno scatto fotografico strettamente legato alla logica dei social network deve contemplare in esso sia l’estetica che il racconto».

– Gli strumenti

«Se Facebook ha democraticizzato le relazioni, Instagram ha portato la fotografia su un nuovo livello, indipendente dallo strumento che utilizzi. In questo contesto la macchina fotografica è uno dei vari strumenti utilizzabili. Qualche giorno fa ho realizzato alcuni scatti con una Leica manuale e contemporaneamente con un iPhone. È in questi casi che ti accorgi come lo strumento abbia la sua importanza, in primis per la differenza sostanziale nella morbidezza e nei colori di un’immagine.

Ma nel mondo di instagram la percentuale di chi è in grado di apprezzare la differenza tra uno strumento e l’altro è minima, una nicchia se confrontata ai volumi di follower che si fanno andare bene migliaia di immagini di vite lussuose ma finte. Ma è una nicchia per cui provo un enorme rispetto e di cui spero di farne comunque parte.

«Non mi sono mai considerato un fotografo puro perché la mia è una fotografia orientata alla comunicazione e non all’estetica pura. Uno scatto fotografico strettamente legato alla logica dei social MEDIA deve contemplare in esso sia l’estetica che il racconto». Simone Bramante, Brahmino

– Credere.

«In questi anni ho avuto modo di ricevere richieste di tutti tipi e di rifiutarne diverse per cui non trovavo nessun quid. Allo stesso modo, spesso ho voluto osare, proponendo idee e progetti totalmente dirompenti o di rottura rispetto al passato o alle convenzioni, idee capaci inizialmente di far storcere il naso a molti. Ma sono sempre riuscito a convincere i miei interlocutori della bontà delle mie intuizioni.

Perché se credi fermamente a quella che è la tua idea sei perfettamente in grado di giustificare tutto».

Articolo: Mauro Farina  Shooting fotografico: Martina Padovan

Mauro Farina

Founder - Creative Content Manager

Altoatesino di nascita, bolognese nel cuore e veronese d’adozione, vive in simbiosi con la sindrome del bambino di fronte alla vetrina del negozio di giocattoli. Vorrebbe comprare tutto, ma non potendoselo permettere sublima raccontando ciò che divora con gli occhi.