Raffaele Ferraro, Blogger, Playground, Bologna, Italy

In questo fantastico viaggio rappresentato dall’avventura di The Creative Brothers capita sovente di sentirsi empaticamente vicini ai creativi che coinvolgiamo nel nostro progetto, grazie ai racconti del loro vissuto e della loro particolare visione del mondo. 

Mai però come in questo caso mi sono trovato così in sintonia con l’entusiasmo e la passione che Raffaele Ferraro è stato in grado di trasmettermi. Con Raffaele condivido la stessa passione per la pallacanestro, la medesima città (Bologna, adottiva per il sottoscritto durante gli anni universitari) e la medesima convinzione di come uno sport possa essere raccontato con ironia e competenza. Raffaele Ferraro rappresenta quasi un fenomeno virale per un social network come Facebook: una pagina aperta quasi per gioco è diventata una delle più seguite dagli appassionati (e non) italiani di basket. Alla pagina è poi seguito un sito altrettanto popolare gestito con il prezioso contributo di una redazione di altri appassionati della palla a spicchi come lui. Infine, è stato capace di trasformare la sua passione nel suo lavoro diventando social manager di una delle più blasonate società cestistiche italiane.

Raffaele, tu sei nato e hai vissuto a Bologna: una città che letteralmente “respira” basket. Le due società bolognesi più blasonate, Virtus e Fortitudo, sono sorte addirittura negli anni trenta e da allora hanno rappresentato due emblemi del capoluogo felsineo. Quando hai iniziato a giocare?

Posso quasi affermare di essere nato giocando a basket, e sono certo di non dire qualcosa di così lontano dalla realtà. In verità gioco dalla tenera età di cinque anni, e il mio esordio è legato ad un aneddoto molto simpatico. MEN_9838_2L’asilo che frequentavo aveva una palestra dove si potevano svolgere due corsi: basket o pattinaggio. Per la prima settimana mi dedicai ad entrambi. Poi, visti i risultati, fortunatamente la mia scelta ricadde sul basket. Da allora non ho mai smesso. Prima la classica trafila delle categorie giovanili con un provino per giocare nella Fortitudo, poi una lunga carriera nelle varie serie minori. La mia vita è segnata dalla palla a spicchi, non ho mai approcciato nessun altro sport.

«gioco a basket dalla tenera età di cinque anni, e il mio esordio è legato ad un aneddoto molto simpatico. L’asilo che frequentavo aveva una palestra dove si potevano svolgere due corsi: basket o pattinaggio. Per la prima settimana mi dedicai ad entrambi. Poi, visti i risultati, fortunatamente la mia scelta ricadde sul basket. Da allora non ho mai smesso».

Come è nato il tuo interesse per i social network e, in particolare, l’idea di una pagina facebook per “raccontare” a modo tuo il basket?

Confesso di non aver mai avuto una spiccata passione per la scrittura. La molla è scattata per semplice e pura passione per questo sport. Prima dell’avvento di Facebook esistevano i forum di appassionati di basket; in uno di questi intervenivo di continuo con lo pseudonimo di “Mimmo” e per anni ne ho combinate di cotte e di crude. I miei interventi sul forum erano conditi da una serie infinita di gag e freddure sui giocatori e allenatori di Bologna e provincia. La spinta a dedicarmi ai social me la diede la mia ragazza di allora che mi convinse a iscrivermi a Facebook. Qualche anno dopo provai ad aprire una pagina dedicata esclusivamente al basket: la chiamai “La Giornata Tipo” per un motivo prettamente goliardico: quando qualcuno dei miei amici compiva gli anni ero solito dedicare una descrizione della loro “giornata tipo” come sfottò, pubblicandola direttamente sulla pagina del diretto interessato. E così ho fatto poco dopo anche parlando di basket. Esordii descrivendo un’ipotetica giornata tipo del campione NBA LeBron James.

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I riscontri arrivarono subito, al punto tale che iniziai a scrivere a raffica. Il continuo aumento di follower mi aveva convinto di stare perseguendo la strada giusta. Inizialmente pubblicai anche testi non direttamente inerenti al basket ma, con la consacrazione della mia pagina Facebook durante i Campionati Europei 2013 in Slovenia, mi dedicai completamente alla pallacanestro.

Ho avuto la fortuna di passare otto anni della mia vita a Bologna. In quel periodo ho capito di vivere in una città che “respira” basket, per tradizione e per propria cultura. Si tratta di un ambiente dove questo sport è vissuto in modo viscerale, al punto tale da creare nei bolognesi due anime prettamente distinte, divise dai colori della squadra che sostengno. Condividi questa sensazione?

Ti ho raccontato prima come mi sono approcciato alla pallacanestro. Non penso fosse un caso che una piccola palestra di un piccolo asilo di quartiere avesse un corso di basket come prima scelta. Ovunque si vada, in qualunque palestra della città si può trovare una società sportiva dedita alla pallacanestro. È un tessuto sportivo e sociale che trascende dalle singole squadre. L’aspetto impressionante è il numero di praticanti di ogni età che si possono trovare nel capoluogo emiliano. Questa è stata la forza che ha definito Bologna negli anni come la “basket city” italiana ed europea, e questa nomea è rimasta anche in tempi di magra di risultati sportivi.

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Sicuramente un grosso impulso a questa realtà è dato ancora oggi da questa grande rivalità cestistica tra la Virtus e la Fortitudo. Non credo esistano in altre città due società sportive e due squadre con radici storiche e sociali così forti e così diverse.

MEN_9774_2Chiunque si sieda da avventore in un bar bolognese e abbia l’occasione di parlare con i ragazzi vicino a sé, potrà capire in pochi minuti per quale squadra propendono. Lo si capisce da come parlano, a volte anche da come si vestono. Ricordo che da piccolo mio padre mi portò dei poster di entrambe le squadre. Per qualche tempo hanno convissuto in camera mia le immagini di Virtus e Fortitudo insieme. Per chi parteggiare fu una scelta che nacque, come per tanti bolognesi, dal caso. Scelsi la Virtus perché un amico di famiglia riuscì a trovarci alcuni abbonamenti. Si viveva un’epoca in cui gli abbonamenti erano quasi “a vita”; esistevano delle vere e proprie lista d’attesa per poter entrare al palazzetto a vedere le partite. Fui così fortunato che i miei primi tre anni da tifoso coincisero con tre scudetti consecutivi. Erano gli anni di Sasha Danilovic come giocatore di punta.

 

 

«Chiunque si sieda da avventore in un bar bolognese e abbia l’occasione di parlare con i ragazzi vicino a sé, potrà capire in pochi minuti per quale squadra propendono. Lo si capisce da come parlano, a volte anche da come si vestono. Ricordo che da piccolo mio padre mi portò dei poster di entrambe le squadre. Per qualche tempo hanno convissuto in camera mia le immagini di Virtus e Fortitudo insieme. per chi parteggiare fu una scelta che nacque, come per tanti bolognesi, dal caso.”

Sono convinto di avere questa passione infinita per il basket proprio grazie al mio essere bolognese. E’ difficile spiegare cosa si prova a chi non ha vissuto o non vive queste emozioni.

Tu parli di basket con ironia e semplicità, senza disdegnare comunque gli aspetti più tecnici del gioco. Probabilmente una chiave del tuo successo dal punto di vista della comunicazione è la facilità con cui il follower si può immedesimare in te. Come se tu fossi l’amico che lo accompagna a vedere la partita al palazzetto dello sport.

La mia scelta iniziale è stata proprio questa: ironizzare sulla mia passione. Ed è sempre stata la mia filosofia di vita: in questo modo riesco a essere veramente me stesso. Faccio fatica a parlare seriamente di basket per un’ora intera.

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Ho aperto ufficialmente la pagina Facebook nel 2012. Il primo exploit di followers lo ebbi in occasione degli Europei di Basket del 2013 in Slovenia. Andai con i miei amici da spettatore e per l’occasione preparammo dei cartelloni con frasi ironiche sui giocatori della Nazionale che distribuimmo tra gli spettatori del palazzetto, con l’intento di farli inquadrare dalle telecamere. Questa distribuzione del tutto casuale portò anche a delle gag involontarie: ad esempio il cartellone dedicato al giocatore Daniele Magro, che non giocava praticamente mai, finì nelle mani di suo padre. Il successo fu tale che persino la Federazione Italiana Pallacanestro ci ringraziò citandoci sul proprio sito.

Questo mix di contatti e visibilità si è tramutato in tempi recenti in un incarico lavorativo che ti ha permesso di far diventare la tua passione per il basket una professione.

Sì, l’anno scorso sono stato chiamato dalla Scaligera Basket a gestire la comunicazione social e il marketing della Tezenis Basket. È una cosa che mi gratifica perché lavoro per una società storica, con grandi ambizioni e con un allenatore bravo e competente che mi ha voluto con lui fin dall’inizio.

Dalla tua attuale posizione privilegiata di osservatore del basket italiano non puoi fare a meno di osservare che esistono società blasonate e con budget di spesa importanti che non hanno nessuna strategia di comunicazione fondata sui social network. Tutto questo nonostante il basket sia il secondo sport più seguito e praticato in Italia dopo il calcio. Che cosa manca al movimento della pallacanestro italiana dal punto di vista della comunicazione?

Sicuramente manca una strategia chiara. Si inizia a intravedere qualcosa nella coltre di nebbia, ma a mio avviso si tratta ancora di fenomeni sporadici senza un filo conduttore.

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Mancano competenze nei ruoli chiave: non ci sono abbastanza social manager competenti e preparati che conoscano l’ambiente, manca la volontà di coinvolgere professionisti in grado di realizzare contenuti video e fotografici di qualità. Può sembrare assurdo, ma in occasione degli ultimi campionati Europei la maglia ufficiale della nazionale italiana era introvabile nei negozi. Perché nessuno aveva pensato a metterla in vendita in occasione dell’evento. Da piccolo avrei pagato qualsiasi cifra per poter vestire la maglia del mio idolo. L’anno scorso, con un’occasione così ghiotta, nessuno poteva indossare le canotte di uno dei propri idoli, magari uno dei quattro giocatori italiani che militava nel campionato NBA.

«Mancano competenze nei ruoli chiave: non ci sono social manager competenti e preparati che conoscano l’ambiente, manca la volontà di coinvolgere professionisti in grado di realizzare contenuti video e fotografici di qualità».

Allo stesso tempo, tolte le piattaforme satellitari, manca un basket televisivo di qualità. Esiste un abisso tra quello che si vede su canali come Sky Sport e quello che si vede intorno. Una partita di basket di Serie A può avere un’audience decisamente appetibile. Nonostante questo, da parte delle reti televisive tradizionali non si intravede la volontà di spendere qualche euro in più per investire, anche solo in una telecamera in alta definizione per riprendere decentemente una partita e dare venti minuti di servizi precedenti e successivi l’evento. L’emittente pubblica lo ha fatto da questa stagione, con enorme ritardo nei confronti di altri paesi. Pensandoci bene, esisterebbe in realtà un pacchetto televisivo del basket da vedere in streaming. Il problema è che nessuno lo sa; e forse è meglio così perché la qualità video è veramente scadente.

Se si aprisse un casting per dare in mano il tutto a una ventina di giovani con delle competenze vere e grande passione per il basket, la qualità del servizio subirebbe un’impennata.

In Italia ci sono almeno tre giornali sportivi che “dettano” l’agenda sportiva del nostro Paese. Nessuna legge li obbliga a pubblicare sempre il calcio in prima pagina. Gli altri sport ricevono attenzione solo in occasione di exploit o grandi eventi, per poi ricadere subito nei trafiletti delle pagine centrali. Non hai mai avuto l’impressione che, cambiando questo paradigma, si potrebbe avviare un volano di attenzione verso il basket anche da chi non ha mai mostrato grande interesse per questa disciplina?

Uno degli obiettivi che deve avere il mondo del social network è quello di far sì che la gente abbia sempre meno bisogno di leggere i quotidiani per informarsi sul basket, proprio per non essere schiavi di questa agenda sportiva. In Italia ci sono 29 milioni di iscritti su Facebook.

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Se un tifoso vuole avere notizie fresche sul basket va su internet e sui social, non si rivolge certo alla carta stampata. E non solo per conoscere i risultati in tempo reale. Esistono già diversi siti, non solo per il basket ma anche per altre discipline, che sono realizzati con estrema competenza da parte dei loro autori e che permettono di approfondire ogni aspetto tecnico, tattico ed agonistico degli sport giocati. 

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Riuscendo a essere sempre più precisi, obiettivi e coinvolgenti si eviterebbe di dipendere dal titolone in prima pagina quando la Nazionale batte una corazzata straniera in un evento internazionale, per poi ricadere inevitabilmente nel dimenticatoio. È uno degli obiettivi che mi sto ponendo, sia su “La Giornata Tipo” che a Verona, dove lavoro per la mia società sportiva.

Immagino che un così vasto seguito di follower ti porti sia delle gratificazioni che delle responsabilità.

Sì, assolutamente. La gratificazione massima la raggiungo leggendo quello che mi scrive la gente: non si tratta solo di complimenti, ma anche di tante persone che mi raccontano qualcosa di importante e intimo; è necessario, ovviamente, distinguere tra chi lo fa per essere pubblicato e chi lo fa perché vive momenti difficili e vuole sfogarsi.

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Mi rende felice leggere anche semplicemente messaggi di chi mi confessa, grazie alla lettura de “La Giornata Tipo”, di aver scoperto il basket o di essere tornato ad appassionarsi alla pallacanestro. Il fatto di rappresentare una sorta di collettore positivo mi ha portato a essere, insieme al giornalista Mario Castelli, il promotore di Teddy Bear Toss”, l’iniziativa del lancio di pupazzi di peluche durante le partite di basket. I peluche vengono poi donati ai reparti pediatrici degli ospedali. Dopo aver dato il via all’iniziativa ricevemmo il primo video di una partita di serie D dove sessanta persone lanciarono peluche in campo. L’esempio divenne virale e pian piano l’evento si replicò in tanti altri palazzetti italiani, serie A compresa. Sono piccole cose, ma dall’enorme significato.

Da quanto emerge dalle tue parole pare proprio che tu “viva” di basket ad ogni ora del giorno: ne scrivi sui social network, ne hai fatto una professione e non manchi di mai di vedere e commentare la maggior parte delle partite in televisione. Come riesci a coniugare questa passione con i tuoi affetti personali?

Prima di tutto, ho il privilegio di avvalermi di una redazione di amici sparsi per l’Italia che contribuiscono assieme a me a realizzare per il sito contenuti di  qualità. E per questo non posso fare a meno di ringraziarli tutti.

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Infine, e questa è la ragione più importante, perché ho la fortuna sfacciata di avere al mio fianco Pamela, che è giocatrice di basket. Fortunatamente lei non è “malata” come me, altrimenti saremmo da ricovero immediato, ma ci siamo vicini. Il nostro ultimo San Valentino ha avuto come programma: gara delle schiacciate dell’All Star Game NBA fino all’alba, due partite di basket in televisione e per finire cento chilometri per andare ad assistere a Ferrara – Verona.

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Decisamente no, non avrei mai potuto trovare donna migliore di lei.

Articolo: Mauro Farina   Contributi fotografici: Maria Elia Natali 

Mauro Farina

Founder - Creative Content Manager

Altoatesino di nascita, bolognese nel cuore e veronese d’adozione, vive in simbiosi con la sindrome del bambino di fronte alla vetrina del negozio di giocattoli. Vorrebbe comprare tutto, ma non potendoselo permettere sublima raccontando ciò che divora con gli occhi.