La saletta del locale è stranamente vuota. O meglio, tutta per noi. Strano, per un cocktail bar con la perenne presenza di gruppi di avventori in attesa fuori dalla porta.
Sgranocchio una patatina e mi guardo intorno. La stanza è calda e accogliente e tutti i dettagli che riesco a individuare mi fanno pensare ad un luogo intriso di personalità e attenzione ai particolari.
Il contesto mi mette perfettamente a mio agio, compreso il sottofondo musicale dei Simply Red. Questa mia visita a l’Archivio, il cocktail bar aperto nel 2014 che ha portato una ventata di novità nel centro di Verona, non è casuale.
L’occasione è propizia per conoscere e raccontare i protagonisti di questa piccola grande rivoluzione in terra scaligera: Tommaso Gecchele e Raffaele Bellomi. Bartender dalla solida esperienza locale e internazionale, possono essere annoverati in quella cerchia ristretta di creativi che, da qualche anno a questa parte, cercano con le loro proposte di far cambiare verso ad una città fondata sulle convenzioni e sull’abitudine, forti delle loro idee e passioni che poggiano su basi consistenti fatte di esperienze internazionali e di una ricerca continua di nuove tendenze.
Grazie ragazzi per averci accolto nel vostro locale. Già dalla nostra prima chiacchierata ho avuto la netta sensazione di uno straordinario affiatamento tra voi due. Come vi siete conosciuti e come è iniziato il vostro sodalizio?
Tommaso Gecchele: la nostra amicizia risale ai tempi delle scuole superiori. Stesso percorso di studi, stesse amicizie e stessi luoghi frequentati. Il fatto di lavorare insieme può sembrare la naturale conseguenza di un percorso comune. Difatti, a diciotto anni eravamo già la coppia di baristi di un caffè nel centro di Verona. Nel corso degli anni ci siamo separati per lunghi periodi di lavoro all’estero (Spagna, Stati Uniti, Inghilterra, Australia), ma ad ogni ritorno corrispondeva una nuova collaborazione fino alla partenza successiva. Ho perso ormai il conto di quante volte siamo stati colleghi prima di aprire il nostro locale.
In una delle ultime esperienze di lavoro abbiamo compreso quanto eravamo stanchi delle dinamiche da dipendenti soggetti agli ordini di qualche superiore ed eravamo consapevoli di come fosse necessario dare una svolta al nostro percorso. Ci siamo letteralmente guardati in faccia e ci siamo detti: “apriamo un bar”. Non ci è voluto molto tempo per trovare il contesto adatto a noi.
«In una delle ultime esperienze di lavoro abbiamo compreso quanto eravamo stanchi delle dinamiche da dipendenti soggetti agli ordini di qualche superiore ed eravamo consapevoli di come fosse necessario dare una svolta al nostro percorso».
Ed il contesto “adatto” è proprio il luogo dove ci troviamo ora.
Raffaele Bellomi: esatto. Abbiamo rilevato quella che in origine era una birreria, rimasta aperta per poco più di un anno. Ci siamo innamorati a prima vista del posto preservandone l’atmosfera e intervenendo solo su alcuni dettagli, come la scelta dei mobili di spiccata ispirazione vintage.
La nostra idea originaria consisteva nel realizzare un bar piccolo e raccolto, capace di creare un’atmosfera intima per ogni tipo di avventore. Ci siamo liberamente ispirati al Mag Café di Milano (in zona Navigli), luogo capostipite di un determinato modo di interpretare il bartending ed il rapporto con il cliente. Volevamo un locale che fosse immediatamente a ridosso della piazza principale, dove chiunque potesse vedere soddisfatte le proprie esigenze in termini di drink.
Non siamo noi a decidere cosa deve bere il cliente, ma qualunque cosa voglia dobbiamo essere noi a imporre una scelta di qualità. Volevamo realizzare un punto di aggregazione sociale per persone di qualunque ceto e tipologia e con un unico comune denominatore: quello di voler degustare qualcosa di buono. Crediamo di esserci riusciti.
Come descriveresti il vostro debutto come titolari de l’Archivio?
Tommaso Gecchele: adrenalinico. Siamo stati così presi dagli eventi che non avevamo previsto nemmeno un’inaugurazione ufficiale. Abbiamo semplicemente aperto la porta. Eravamo totalmente assorbiti dal rendere concreta la nostra idea di locale: un contesto dove sperimentare quotidianamente, manipolando le materie prime e lavorando solo con ingredienti freschi.
Per farlo dovevamo avere un bar nostro perché a Verona, almeno fino a qualche anno fa, la filosofia dei drink realizzati con ingredienti freschi e stagionali non era ben vista. Mancava una qualsivoglia cultura della qualità a favore di scelte di prodotti dal rapporto qualità prezzo spesso scadente. Si credeva, erroneamente, che lavorare con ingredienti freschi fosse costoso ed inutile: credenza totalmente campata per aria. Al contrario, la preparazione manuale di ogni singolo estratto, succo o preparato porta ad innegabili risparmi senza nessun compromesso in termini di gusto e sapore.
Ad esempio, quando abbiamo aperto abbiamo puntato immediatamente sul produrci in casa l’acqua tonica, scelta che fino a due anni fa nessuno si sarebbe azzardato a fare. Ma l’apice del nostro successo è stato raggiunto con la preparazione degli ingredienti per il Moscow Mule, l’ultimo drink di tendenza in Italia. Come tutte le mode, però, anche questa sta lentamente scemando. Si iniziano a intravedere clienti che chiedono drink più secchi.
«Non siamo noi decidere cosa deve bere il cliente, ma qualunque cosa voglia dobbiamo essere noi a imporre una scelta di qualità».
Avete già intuito qualcosa su quello che sarà il prossimo futuro?
Raffaele Bellomi: a Verona è impossibile fare qualsiasi pronostico, sarebbe più facile azzeccare un terno al lotto. Da quel che notiamo nei nostri viaggi all’estero, stiamo assistendo ad un vero e proprio boom nell’uso dello Sherry, seguito a ruota da Tequila e Mescal; quest’ultimo è un distillato messicano ottenuto dalla pianta dell’agave, dal sapore tendente all’affumicato. In ogni caso, sentiremo parlare di Gin Tonic ancora per tanto tempo.
Vi siete dovuti scontrare con qualche difficoltà iniziale a fronte di un vostro approccio totalmente innovativo per una piazza come Verona?
Raffaele Bellomi: non eccessivamente, in realtà. L’eccitazione della novità ha compensato tutto. Essendo il nostro un locale piccolo, ritenevamo che due persone dietro il bancone fossero sufficienti. Di fatto, visto il riscontro di pubblico, siamo stati “costretti” ad ampliare lo staff con l’inserimento di ragazzi a cui insegniamo la nostra filosofia di lavoro e le nostre tecniche. Ma fino all’anno scorso potevamo contare esclusivamente su noi stessi, arrivando a turni di 18 ore consecutivi. Ma se il tuo lavoro corrisponde alla tua passione, non si sente nemmeno la fatica.
«se il tuo lavoro corrisponde alla tua passione, non si sente nemmeno la fatica».
In più, ora sfruttiamo le nostre ferie per aggiornarci all’estero su prodotti, tecniche, idee e nuove tendenze. Questo perché in Italia la cultura dei cocktail non è dominante. In America, invece, bere un Martini alle cinque del pomeriggio, quando si finisce di lavorare, è normale e non fa scandalo. I consumatori americani sono più preparati, sanno cosa chiedere nel dettaglio e sono più open-minded, più disponibili a provare qualcosa di nuovo. Questo perché esiste un altro tipo di approccio: qui da noi il barista è stato per troppo tempo un mero strumento per portare un liquido dalla bottiglia al cliente. Il cambiamento di questo paradigma sta finalmente accadendo anche da noi ed il barman inizia a essere considerato come una figura professionale di spessore, con conoscenze settoriali approfondite e mai banali.
Il nome “Archivio” chi lo ha scelto?
Tommaso Gecchele: al principio volevamo chiamarlo Busillis, il nome di un rompicapo dell’Ottocento. La certezza era che volevamo un nome italiano! Ad un certo punto è venuto fuori il nome di Archivio, inteso come luogo dove si raccolgono ricette e tecniche. Ci è piaciuto e lo abbiamo scelto.
Voi rappresentate di certo una ventata di novità nel panorama delle nuove attività cittadine. Riuscite a scorgere qualche altro segnale incoraggiante?
Tommaso Gecchele: pian piano le cose stanno cambiando. Ci sono più idee, piccole realtà giovani e creative che stanno emergendo. Rispetto a tre o quattro anni fa – che definire come bui potrebbe sembrare riduttivo – le cose stanno migliorando nettamente. Penso, ad esempio, ad alcune associazioni di giovani che si prodigano per organizzare eventi innovativi e anticonformisti. È di questo che una città come Verona ha bisogno per crescere.
Raffaele Bellomi: si respira una certa aria di rinnovamento. Nell’ambito del Food and Beverage ci sono senz’altro molti (troppi) locali con concezioni antiquate. Però è vero che chi investe per aprire nuove realtà cerca anche di introdurre elementi di novità. Magari non inventando necessariamente qualcosa, ma adeguando il luogo ai trend internazionali. Insomma, qualcuno che si dà da fare a Verona ormai c’è. Il Comune, poi, potrebbe mettere a disposizione degli spazi inutilizzati veramente belli: il Lungadige, per citare un luogo tra i tanti, si presterebbe a iniziative fantastiche. Tutto può essere migliorato, ma rispetto al nulla di qualche anno fa il contesto generale è molto più incoraggiante. Per quanto riguarda il mondo dei cocktail, prima di arrivare al pari delle grandi città saranno necessari enormi passi in avanti. Gli investimenti nel centro città sono proibitivi e questo non aiuta, costringendo chi ha grandi idee a spostarsi nella grande città per tentare la sorte. Ad esempio Milano, nell’ultimo decennio, ha cambiato completamente aspetto.
Secondo voi cosa andrebbe proprio migliorato in particolare?
Tommaso Gecchele: i quartieri di periferia sembrano abbandonati a se stessi, ad ognuno di questi manca una dimensione propria che sia viva e aperta alle contaminazioni. Un cambiamento in questo senso non è impossibile. Basti pensare a quanto è accaduto a Milano con il quartiere Isola: dopo anni di degrado oggi è una zona di tendenza per la movida milanese. Insomma, sarebbe fantastico vedere i veronesi muoversi un po’ di più per scoprire le nuove tendenze sul tema dei locali e dei bar e le ricchezze che sono in grado di offrire. Anche in relazione a questo, con calma, le cose cambieranno. Siamo ottimisti.
Quali sono i vostri propositi? In cosa volete migliorarvi?
Raffaele Bellomi: noi vorremmo contribuire a far aprire la mente al consumatore attraverso un approccio più analitico. A ragionare sui prodotti che vengono utilizzati nel momento in cui si fa un drink, senza subire passivamente le scelte di un barman, che non devono essere condizionate dal brand, ma esclusivamente dai gusti e dai sapori.
Il tema del condizionamento del brand è una costante nel nostro Paese e sarà veramente difficile da eliminare perché spesso è sufficiente la forza di un marchio per convincere l’italiano medio. Verona, poi, rappresenta un banco di prova ancora più difficile: saranno necessari ancora un paio di anni prima che il mondo dei cocktail si consolidi per bene, soprattutto nelle periferie della città.
«Viaggeremo, ma soprattutto continueremo a provare e riprovare fino ad avere una padronanza completa della tecnica: fare nostro un concetto per poterlo declinare grazie alla nostra passione. È questa la nostra stella polare».
Per quanto riguarda i nostri obiettivi, la prossima sfida è quella di migliorare le tecniche di distillazione, come quella del whisky ad esempio. Studieremo, cercheremo di assorbire i segreti dai maestri del settore.
Viaggeremo, ma soprattutto continueremo a provare e riprovare fino ad avere una padronanza completa della tecnica: fare nostro un concetto per poterlo declinare grazie alla nostra passione. È questa la nostra stella polare.
Articolo: Martina Dal Cengio Shooting fotografico: Luca Wallner