Piero Armenti, Blogger, New York, U.S.A.

«Non c’è nessun viaggio come quello a New York». Sono queste le parole con cui saluto Piero Armenti, creatore della seguitissima pagina Il mio viaggio a New York in un caffè sulla 47esima, un pomeriggio di marzo.Ci rivedremo la sera, parteciperò a uno dei suoi tour dei Rooftop, una delle idee per cui il suo, di viaggio, dura ancora, senza un biglietto di ritorno, perché per lui, New York, è diventata casa.

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Originario di Salerno, laureato in Giurisprudenza, un dottorato di ricerca, una carriera da giornalista, è ora uno dei più seguiti blogger di Italia grazie all’idea della pagina “Il mio viaggio a New York”.

Piero, sei diventato un riferimento e un simbolo per tanti italiani che vivono attraverso di te questo sogno americano. Quali sono state le tappe di questo percorso?

Il mio “viaggio” è iniziato qualche anno fa, possiamo dire all’università, con la prima esperienza di vita all’estero, durante l’Erasmus ad Alicante. Chi ha vissuto un Erasmus concorderà con me che quello è solo l’inizio di una nuova avventura. L’esigenza del viaggio diventa poi un’urgenza che continua ad accompagnarti, insieme alla curiosità e all’apertura verso qualcosa che vada oltre il proprio orizzonte. È per questo che, dopo la laurea in Giurisprudenza, a 24 anni ho deciso di partire di nuovo.

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Il Venezuela è stata la mia prima meta. Il motivo è stato un tirocinio al consolato italiano mentre la passione per la scrittura, che da sempre mi accompagna, è stata la chiave per il mio primo lavoro da giornalista. A Caracas ho iniziato a lavorare per “La voce d’Italia”, il giornale italiano in Venezuela. Ho avuto la fortuna di collaborare con Ettore Mo, grande giornalista, in anni in cui in Venezuela si respirava un clima vivo e carico di anarchia e mi sono appassionato alla scena politica locale tanto da pensare poi a un dottorato di ricerca, al rientro in Italia, sul processo politico venezuelano con una tesi sulla rivoluzione di Chàvez. Proprio durante il dottorato ho avuto il primo contatto con New York. Sono venuto qui tre mesi per un periodo di ricerca e sono rimasto folgorato da questa città. A quel punto ho pensato che avrei dovuto trovare il modo per rimanerci.

La domanda è banale, perché sicuramente non sei stato il primo ad avere questo pensiero, ma alla fine tu sei uno dei pochi ad esserci riuscito: come hai fatto a restare a vivere a New York?

Come nel caso del Venezuela, dapprima ho trovato una scusa. In questo caso è stato uno stage per Il Sole 24 ore con Mario Platero. Ho cominciato a collaborare con lui e per mantenermi – la vita a New York costa cara – ho dovuto farmi venire delle idee. È partita così, con un socio, l’idea di creare un’offerta turistica che ci sembrava assente: quella di tour dedicati alla vita notturna. Molto spesso l’offerta turistica si concentra su attività diurne e sono note a tutti le principali attrazioni di New York. La vita notturna, invece, rimane sempre poco curata, un segmento che risultava vuoto e rispetto al quale New York ha molto da offrire, forse il suo lato migliore. Sono nati così i primi tour: quello delle terrazze panoramiche, denominate rooftop, quello dei bar del proibizionismo e quello delle discoteche. È stato un successo immediato.

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«Ho cominciato a raccontare la sensazione di vita che si ha in questa metropoli che affascina e spaventa, lo spettacolo di passeggiare per le sue strade, in solitaria ma allo stesso tempo in maniera social. La gente ha cominciato a seguirmi e giorno dopo giorno la pagina è cresciuta tanto da diventare un riferimento per gli appassionati di New York».

Quindi è nata prima l’idea relativa ad un’offerta turistica rispetto a quella del blog?

Il blog è nato successivamente, anche questo quasi per caso. Diciamo che dopo il primo anno, nonostante le cose avessero preso il via, mancava ancora qualcosa per passare a considerare la nostra agenzia un vero e proprio lavoro. Nel frattempo ho avuto anche un problema fisico che mi ha costretto a passare del tempo fermo. È stato allora che ho iniziato a scrivere ed è nata la pagina web.

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Volevo raccontare quest’esperienza newyorkese: la mia quotidianità, il mio vivere da italiano all’estero, le mie scoperte e le mie abitudini. Racconto la sensazione di vita che si ha in questa metropoli che affascina e spaventa, lo spettacolo di passeggiare per le sue strade, in solitaria ma allo stesso tempo in maniera social. La gente ha iniziato a seguirmi e giorno dopo giorno la pagina è cresciuta tanto da diventare un riferimento per gli appassionati di New York. Da qui è nato un progetto di natura narrativo-letteraria legato in seconda battuta ad un’offerta turistica focalizzata sugli italiani, per i quali sono diventato una sorta di riferimento “familiare” oltreoceano. Chiaramente i servizi che offriamo come agenzia sono rivolti a tutti, ma la pagina è nata in italiano per cui i miei principali followers sono nostri connazionali.

La pagina conta infatti ora più di 200.000 iscritti. Qual’è l’identikit dei tuoi followers?

È un mondo strano, fluttuante e bellissimo, quello dei social network. Il nucleo più corposo dei miei followers è costituito da chi ama New York e vuole tenere un filo diretto con la città attraverso i miei racconti.

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Persone che, tramite la mia esperienza, “vivono” la città. C’è poi chi si iscrive e mi segue in prossimità del viaggio, cerca o chiede suggerimenti e consigli, c’è chi mi segue da sempre ed è diventato un amico e magari si preoccupa se non posto qualcosa e mi chiede il perché: «Piero tutto ok? Stai bene?». C’è ovviamente anche chi mi scrive per aiutarlo a trovare lavoro a New York, ma da questo punto di vista posso limitarmi a dei consigli.

Quali sono state le esperienze più strane o le richieste più assurde che hai avuto da quando hai aperto la pagina?

Sono diventato un riferimento soprattutto per gli italiani che si accingono a partire per New York o che, una volta a New York, hanno bisogno di un riferimento. Tra le cose più strane posso ricordare domande come «ma dove si fa colazione da Tiffany?», «New York è pericolosa?», turisti che passano semplicemente a salutarmi come vecchi amici o il caso di una ragazza con una colica renale che è venuta da me per chiedere aiuto su come dovesse comportarsi o a chi rivolgersi.

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Un altro caso simpatico è stato quello di un ragazzo che era rimasto senza soldi per l’aeroporto e mi ha chiesto di prestargli dei soldi per il taxi – proprio per farti capire il livello di amicizia, confidenza e anche fiducia reciproca che si instaura – o una coppia che, separatamente, mi ha contattato per regalare all’altro lo stesso pacchetto di tour (io l’ho scoperto solo una volta arrivati!).

«New York vista da un tetto rende forse al massimo il suo fascino, soprattutto al tramonto e di notte. È qualcosa che non ti stanca mai».

Parliamo di questi tour personalizzati: le terrazze panoramiche, i bar del proibizionismo, le discoteche e la vita notturna e tanti altri. Ma quali sono i posti preferiti di Piero a New York?

I miei tour sono nati proprio dall’attrazione provata quando ho scoperto questi posti. Luoghi che, appunto, non per forza sono noti a chi viene per pochi giorni, ma che danno l’opportunità di cogliere degli aspetti della città davvero unici.

Il tour dei rooftop, anche perché è stato uno dei primi, è un itinerario a cui sono fortemente legato ed è decisamente uno dei più belli. New York vista da un tetto rende forse al massimo il suo fascino, soprattutto al tramonto e di notte. È qualcosa che non ti stanca mai. Il mio rooftop preferito è il Press Lounge mentre per i bar del proibizionismo – gli speakeasy – il top per me è rappresentato dal PDT.

E ci sono posti tuoi? Dove va a mangiare Piero? E dove risiede Piero a New York?

Vivo ad Astoria, un quartiere molto familiare, oserei dire mediterraneo. Come è facile da immaginare, Manhattan è molto congestionata come area, per cui viverci diventa difficile e costoso. Allo stesso tempo, Manhattan e Times Square dovevano necessariamente essere il punto strategico dove avere un nostro riferimento per le persone, e dove quindi ho aperto l’agenzia, sulla 47ima. Ad Astoria ritrovo quella sorta di tranquillità e spazio che nella City – nel bene e nel male – mancano.

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Ed ho tutti i miei riferimenti, a partire dai miei ristoranti greci o quelli di pesce e calamari. Adoro anche altri posti più di nicchia: Socrates Park e le sue bellissime statue, Red Hook a Brooklyn, il Queens, la Chinatown estrema o le rive dell’Hudson. Un’emozione che non passa è andare fino alla statua della Libertà, soprattutto di notte. Ricordo di aver fatto questo viaggio il giorno in cui mi dissero che mi avrebbero sponsorizzato il visto. Stavo diventando newyorkese, avevo bisogno di dirlo a lei. Era dicembre e andai a trovarla. Di notte, perché la notte rimane sempre il filo rosso che collega la mia vita a quella di questa metropoli. Dopo la partenza del traghetto arrivò una tempesta. Tutti rimasero dentro per la pioggia e per il vento. Io fui l’unico ad andare fuori. Ricordo il rumore della tempesta, il vento, i vestiti bagnati, l’addetto alla sicurezza che tentava di riportarmi dentro.

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E io fingevo di non sentirlo. E poi c’era lei, di fronte a me. Con la sua torcia accesa e la sua forza. Era così grande da vicino, eppure così umana. La fissavo e pensavo che quello fosse il momento. Illuminata sembrava ancora più bella, potevo soffermarmi sui dettagli, sulle ombre che le scavavano la veste, sulla forza del simbolo. E il rumore infernale della pioggia e del traghetto scompariva dietro la bellezza di essere lì in quel momento. In quel preciso istante mi son sentito come chi, un secolo prima, l’aveva guardata con gli stessi occhi con cui la guardavo io. Non da turista, ma di chi insegue un’opportunità di vita, un sogno, la vita. E allora era esattamente quello il momento che stavo cercando. Il momento di ringraziare, salutarla e andare via, per perdermi dentro le mille luci di una New York finalmente “mia”.

Come pensi si evolverà questo progetto? Qual è il tuo sogno? Hai mai pensato ad un libro oltre al blog?

“Il mio viaggio a New York” è nato come una pagina italiana per italiani. Ora stiamo aprendo in tutte le principali lingue: inglese, francese, spagnolo… L’idea è quella di raggiungere con questo progetto turistico-narrativo il maggior numero possibile di persone e di estenderlo ad altre città. Sta partendo ora un progetto su Miami, ma il mio sogno sarebbe poter avere un “viaggio” in tutte le principali città, anche pensando ad un’offerta analoga per stranieri in Italia chiaramente. Sulla questione libro sto lavorando: mi manca il tempo per concretizzare, ma il blog è il primo passo, una sorta di raccolta di materiale preliminare per la storia più grande che voglio raccontare.

 

La prossima domanda è legata all’Italia, anche perché le idee ci sono a riguardo. Che rapporto vivi con le tue origini? Pensi di tornare prima o poi?

Io mi sento molto italiano e di certo non sono tra quelli che se ne sono andati per mancanza di opportunità. Me ne sono andato per scelta, per esigenza di viaggio personale, appunto. Per ora i miei progetti sono qui, ma ho delle idee da sviluppare in Italia e vedremo come gestire questo ruolo da cavaliere errante che mi sono creato. Per ora mi vedo qui, penso che questa città abbia ancora molto da dare e io da prendere.

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«Io mi sento molto italiano e di certo non sono tra quelli che se ne sono andati per mancanza di opportunità. Me ne sono andato per scelta, per esigenza di viaggio personale».

E grazie a te, ai tuoi racconti, porti con te molti appassionati che attraverso di te vivono questo sogno newyorkese. Dopo tutti questi anni, cosa c’è di veramente unico qui, che ancora ti tiene legato in maniera così forte?

Quello che mi colpisce di New York è la sua forza. Questo comprimersi in uno spazio così ridotto, e per questo così potente. Penso che chiunque sia in grado di avvertire questo senso di “possibilità” dato dalla città. Se nasci ricco stai bene ovunque, se nasci povero non c’è luogo che possa ribaltare il tuo status quanto New York. Qui può davvero succedere di tutto: è il Paese delle opportunità e per me è stato proprio così. C’è tutto, concentrato in una metropoli di follie, vanità, vertigini. Non importa in quale parte della tua vita incrocerai New York, perché sarà sempre l’inizio di qualcosa. E non importa se prima o poi la lascerai. Perché non smetterai di custodirla dentro di te. E New York continuerà ad essere il ventre materno in cui nasconderti quando avrai paura. Anche solo, da lontano, immaginandoti di nuovo lì. E avrai le energie per ribaltare le insidie del destino, perché ogni minimo sforzo vale la felicità di avere negli occhi e nei polmoni le sue mille luci. È per questo che non esiste altro viaggio come quello a New York.

«A New York può davvero succedere di tutto: è il paese delle opportunità e per me è stato proprio così. C’è tutto, concentrato in una metropoli di follie, vanità, vertigini. Non importa in quale parte della tua vita incroci New York, sarà sempre l’inizio di qualcosa. E non importa se prima o poi la lascerai. Perché non smetterai di custodirla dentro di te».

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Con questa frase, penso che alle parole di Piero Armenti si possa aggiungere solo qualche foto di quello che ho vissuto io, nel suo tour dei rooftop, sperando di aver risvegliato in chi legge, quella vertigine e quell’urgenza di viaggio, a New York come altrove.

Articolo e servizio fotografico: Maria Elia Natali

Maria Elia Natali

Contributor - Photographer

A metà strada tra un ingegnere ed un architetto e complessivamente eclettica. Ama la fotografia, il design, i materiali da costruzione e anche la musica. Ama New York e Bologna. Ama viaggiare, le piccole cose e la gente, ne osserva i dettagli soprattutto. Quando cammina cambio spesso strada per arrivare nello stesso posto e quasi sempre lo fa con lo sguardo all’insù, osservando tutti i palazzi ed il loro stato di conservazione. Questo tranne quando intorno ci sono negozi di scarpe.