Patrizia Cianetti, Marketing Director Ducati, Bologna

Patrizia Cianetti è una delle donne più eleganti che io abbia avuto la fortuna di incontrare. Non tanto – o non solo – per l’abbigliamento, ma per quell’insieme fatto di gestualità e parole che ti si insinua dentro mentre ti parla del motore Superquadro sviluppato da Ducati, azienda di cui è Marketing Director.

 

L‘ho incontrata nella sede di Ducati a Borgo Panigale, Bologna, in un ufficio che non ti aspetti, che non lascia spazio allo sfarzo che una posizione così prestigiosa richiederebbe, in mezzo a tutti gli altri dipendenti e con le sedie che scricchiolano ad ogni movimento.
È un ingegnere informatico, Patrizia Cianetti, originaria di Foligno, ma adottata dalla città di Bologna. «Volevo frequentare Ingegneria Informatica e avrei dovuto scegliere tra Roma e Bologna: andai a visitare entrambe le facoltà, ma quando scesi alla stazione di Bologna avevo già preso la mia decisione».

Mentre scriveva la tesi di laurea (sulla realizzazione di un sistema elettorale online) trascorse un anno a Parigi in IBM EMEA (era il 1996) presso il centro di formazione della multinazionale informatica: aveva il compito di formare i commerciali IBM di Europa e Africa su «come funzionava Internet» per aiutarli nella commercializzazione dei primi browser e applicativi online. Tornata in Italia per terminare le pratiche legate alla laurea, divenne consulente per Ernst & Young, a Milano, nella divisione eBusiness. Fu durante quest’esperienza che incontrò per la prima volta il mondo Ducati: un progetto b2b per lo sviluppo di un sistema extranet di collegamento tra azienda e concessionari le fece conoscere l’azienda ma, soprattutto, le fece capire che avrebbe voluto partecipare alla realizzazione fattiva di un progetto e non solo limitarsi a proporlo in quanto consulente esterno. Le si aprirono, quindi, due opportunità: trasferirsi a Roma a Kataweb (nascente hub multimediale del gruppo editoriale L’Espresso) oppure accettare la proposta di Ducati di entrare a far parte dello staff. Il resto è storia.

 

 

Una storia che ci siamo fatti raccontare da Patrizia Cianetti non solo nel suo ufficio, ma anche all’interno della fabbrica, alla catena di montaggio, al museo Ducati di fronte ad una meravigliosa Scrambler gialla degli anni ’70 e al bar dell’azienda, bevendo un caffè servito su tazzine marchiate Ducati.

Patrizia, com’è iniziata la tua esperienza in Ducati da insider, e non più da consulente esterno?
«Sono arrivata in Ducati nel 2000 come direttore eCommerce. All’epoca Ducati aveva costituito una società separata denominata Ducati.com, per gestire le attività online che in quel periodo erano considerate un settore emergente e separato da tutto il resto.

Dopo un anno dal mio arrivo il direttore generale di Ducati.com lasciò il suo posto, che venne affidato a me, mettendomi al comando di trentacinque persone per cinque anni. Poi, gli sviluppi aziendali e l’evolversi della comunicazione digitale portarono l’azienda a inglobare Ducati.com in Ducati e mi vennero assegnati sempre più spazi nel marketing. Oggi le mie responsabilità ricadono in tutto nel marketing communication, ovvero l’agire della marca Ducati verso il cliente finale».

Potrà sembrare scontato, ma ammetterai che non è cosa di tutti i giorni trovare una donna in un ruolo così di peso all’interno di un’azienda che produce moto.
«È vero che il tipo di business, e anche l’utilizzo dei prodotti, è prevalentemente maschile, ma in questa azienda c’è un grande rispetto per le competenze e il valore che le persone dimostrano di poter portare all’azienda. Non è quindi così straordinaria la mia presenza in questo ruolo. C’è stata sicuramente una serie di fattori e combinazioni che mi hanno portata qui nel momento giusto, ma ci sono altri dirigenti donne che hanno un ruolo di grande centralità (è donna sia la responsabile delle relazioni con il cliente che la responsabile amministrazione, n.d.r.). Ducati è un’azienda che valorizza le capacità, a prescindere da tutto».

Il tuo ruolo prevede anche che tu abbia acquisito delle competenze tecniche, suppongo.
«Nel mio caso, più che di competenze tecniche si parla di adeguata conoscenza del prodotto, della dinamica, dei fattori distintivi, degli elementi fondanti la performance: tutti elementi che mi permettono di svolgere bene il mio lavoro. Sono in azienda da sedici anni, ormai, e ho imparato a conoscere il prodotto, anche grazie al fatto che lavoriamo a stretto contatto con il product marketing: questo ci permette di iniziare a vivere il prodotto già da momento in cui il brief viene dato agli ingegneri e ai designer, cioè due o tre anni prima dell’effettivo lancio del prodotto sul mercato. Il marketing entra in gioco, in senso stretto, un anno e mezzo prima del lancio del prodotto, ma per raccontare e costruire bene una storia intrigante, ci rivolgiamo ai colleghi del product marketing per studiare gli obiettivi dell’azienda e i bisogni del cliente motociclista. Questo studio ci permette di capire non solo i prodotti, ma anche i diversi posizionamenti, gli stili di guida, le esigenze del motociclista (perché c’è chi cerca esperienze, chi emozioni, altri le performance, ecc…). Quindi, più che competenza tecnica la mia è una competenza dei key benefits per i clienti. Ho comunque l’indubbio vantaggio di essere cresciuta con una grande presenza delle due ruote in famiglia. I miei nonni facevano il Motogiro d’Italia (a casa ho ancora il caschetto e gli occhialoni da moto che indossavano i miei nonni), mio padre aveva la moto e mio fratello faceva gare di motocross. Sono andata in moto fin da piccola: mio padre, dall’Umbria, mi portava al mare in moto facendomi fare 150/200 km seduta sulla sella. E, come si usava al tempo, si saliva in sella senza casco o altro tipo di protezione. La mia generazione ha vissuto le due ruote come un mito: a 12 anni iniziavamo a fare il conto alla rovescia per arrivare ai 14 anni, l’età del motorino. Ricordo quel Natale in cui mi aspettavo di trovare sotto l’albero la chiave del Sì Piaggio che tanto adoravo e invece trovai in foglietto. Un foglietto in cui non solo mi si comunicava che il motorino sarebbe arrivato con un anno di ritardo, ma che il modello che avrei ricevuto sarebbe stato un Ciao. Una tragedia».

Immagino che, quando finalmente arrivò il motorino, avrai dato sfogo a tutta la tua voglia di libertà su due ruote…
«Quando arrivò il motorino iniziarono anche le numerose raccomandazioni, soprattutto quella di non portare mai un passeggero. Promisi ai miei genitori che non l’avrei mai fatto ma, la prima cosa che feci una volta salita in sella, fu proprio quella di andare a prendere la mia amica per andare a fare un giro in centro. Nemmeno il tempo di caricare l’amica e svoltare l’angolo e mio padre mi pizzicò subito. Per quei tempi, la moto nelle sue varie forme (dal motorino in su) aveva un significato simbolico: era liberazione, andare dagli amici, uscire, andare alle feste, era la vacanza su due ruote. Ricordo che il mio fidanzato del tempo mi propose di andare in vacanza in moto, ma mia madre era contraria. Così mi feci venire a prendere in auto, poi la parcheggiammo a casa sua e caricammo i bagagli sulla moto. E mia madre non riusciva a spiegarsi come potessi andare in ferie con delle borse così piccole, io che ero sempre stata così vanitosa…».

«Il segreto di un racconto ben riuscito è la passione, l’interesse e il fascino che i nostri colleghi ci trasmettono». Patrizia Cianetti

Tornando alla questione delle conoscenze “tecniche”, mi pare di aver capito che ci sia comunque una certa predisposizione da parte tua.
«Sono appassionata di fotografia, quasi più delle moto. Così, quando mio fratello partecipava alle gare di motocross, lo seguivo e lo fotografavo in tutti i contesti e le posizioni, abituandomi ad avere un occhio anche per la moto, e non solo per lui. Inoltre, sono una grande appassionata di tecnologia digitale, gioco tantissimo alla Playstation, coinvolgendo mio marito in incredibili e lunghissime sfide notturne; ero un’entusiasta del Commodore VIC-20, del Commodore 64 e di tutta la tecnologia che ne è seguita. Ho quindi una passione che mi permette di avere una buona conoscenza del prodotto, con il vantaggio che Ducati è un’azienda che possiamo definire molto concentrata: nello stesso corridoio, qui a fianco, c’è il reparto design, le corse, l’R&D, il sales, il legal, la presidenza, gli acquisti, il marketing, ecc.. Basta alzarsi dalla sedia e andare a chiedere informazioni tre metri più in là. È un’azienda fluida nei rapporti e questo permette un buon travaso di competenze. Quando imposto la strategia di comunicazione per un nuovo modello di moto vado a parlare con l’ingegnere che l’ha progettata, due uffici oltre il mio. La sua esperienza mi dà dei punti di vista di grande valore che, opportunamente vestiti e raccontati, ci permettono di fare la differenza».

Pur venendo dal mondo eCommerce e dal digital in genere, so che sei molto legata ai prodotti cartacei che realizzate per la comunicazione Ducati, come il Ducati Redline magazine.
«Mi piace moltissimo la tecnologia, ma adoro i libri. Ho sempre ritenuto che non ci fosse una dicotomia tra reale e virtuale, ma una continuità tra questi due elementi. Ho fatto un percorso professionale inverso rispetto alla maggior parte dei miei colleghi: sono passata dal progettare e disegnare un eCommerce online alla realizzazione di un magazine di carta di cui vado molto orgogliosa. Le storie che raccontiamo nel magazine sono le stesse che raccontiamo anche nei canali digitali.

 

Ecco perché oggi la mia attenzione non è più focalizzata sul digitale in sé, ma sul concetto di storytelling, da applicare poi alle diverse piattaforme di comunicazione. La sfida di ammaliare il pubblico raccontando una bella storia è il tema centrale, che poi si trasforma in una pagina pubblicitaria, un magazine, un sito, un libro. Questo è il motivo per cui le nostre storie iniziano sempre con “c’era una volta”. Il fatto di essere in Ducati, in questo senso, ci facilita molto il compito: ci sono persone così appassionate che quando ti parlano del loro lavoro ti affascinano. Quando abbiamo lanciato la Ducati 1299 Superleggera, siamo andati a intervistare gli ingegneri che ne avevano progettato il motore, il Superquadro. Il loro racconto si soffermò sui contrappesi in tungsteno che avevano inserito nell’albero motore in grado di migliorare l’efficienza del motore. La passione e la poesia sprigionate da quel racconto furono la scintilla che ci fece decidere di impostare una strategia di comunicazione basata sul racconto degli elementi primordiali: tungsteno, carbonio, magnesio… La allestimmo sia mostrando la tabella degli elementi, sia attraverso scatti fotografici che cogliessero l’essenza di questi elementi. Il segreto di un racconto ben riuscito è la passione, l’interesse e il fascino che i nostri colleghi ci trasmettono: noi del marketing dobbiamo avere la capacità di trasferirli agli altri senza perdere questa incredibile intensità».

Anche per quanto riguarda i vostri clienti, potete disporre di un bacino di storie potenzialmente infinite.
«Grazie alle varie piattaforme di comunicazione (web e social su tutti), abbiamo la misura dell’intensità della passione e il calore dei ducatisti nei confronti della marca. Ducati ha una grande community di appassionati che non è solo virtuale, ma decisamente fisica. Abbiamo cercato di raccoglierli tutti nei Desmo Owners Club Doc (duecento club nel mondo, trentacinquemila iscritti di cui diecimila solo in Italia). I club nascono spontaneamente da appassionati ducatisti che nel tempo decidono di trasformarsi in un club ufficiale grazie ad un programma di affiliazione che abbiamo ideato e che consente agli aderenti di ottenre benefit di diverso tipo. Ogni anno, in ogni nazione, organizziamo un meeting con i presidenti dei club: domenica scorsa abbiamo riunito qui da noi i presidenti e i vicepresidenti di 60 club italiani (140 persone circa) dalle 10 alle 17. Abbiamo raccontato l’azienda, i nuovi modelli, gli eventi esclusivi a loro riservati, le tariffe promozionali per alcuni servizi, ecc. È in momenti come questi che riusciamo a sentire la passione, l’intensità, l’amore per la marca. C’è chi ci ha portato il barattolino di miele fatto in casa, chi ci ha invitato ad un loro evento, chi ci ha regalato t-shirt e adesivi del club. Il nostro obiettivo è, quindi, essere e rimanere un lovemark».

I social network e il web in generale hanno rivoluzionato la comunicazione di tutte le aziende, ma Ducati sembra essere decisamente più pronta di altre ad affrontare questo cambiamento.
«Ducati gode due grandi vantaggi: già nel 2000 eravamo focalizzati sui canali digitali e la gestione delle community, quindi abbiamo maturato un’esperienza che ci ha permesso di capire presto quale direzione prendere nella nostra comunicazione. Inoltre, siamo davvero fortunati perché, rispetto ad altri brand, abbiamo una ricchezza di vita sui canali social che è totalmente spontanea. Non abbiamo mai acquistato pubblicità o follower e abbiamo un tasso di engagement altissimo grazie al fatto che la relazione con la marca è fortissima. I ducatisti sono autentici tifosi, nel bene e nel male (se il tifoso non è contento di qualcosa te lo fa capire con molta passione). Di solito, quando presentiamo dei nuovi modelli lo facciamo in diretta streaming, e quest’anno abbiamo voluto farlo anche in diretta Facebook (la Ducati World Premiere, n.d.r.): vedere l’ondata di cuori che hanno invaso lo schermo è stato a dir poco emozionante».

 

 

«Un sistema che offre potenzialmente un’esperienza di marca continua, che va oltre il prodotto, ma che ha nel prodotto il suo centro di gravità». Patrizia Cianetti

Parlando di community, siamo tutti consapevoli del fatto che il Ducatista non è uno solo. Ci sono quelli che acquistano le moto, ma anche le loro compagne che li seguono nelle loro escursioni, c’è il tifoso della moto GP che però non guida, ma anche il vecchio ducatista che ormai non guida più, ma rimane legato al marchio. Ci sono stati momenti in cui avete avuto prova di questo amore così trasversale?

«Ducati rappresenta e racconta attraverso tutte le sue istanze (moto, corse, museo, fabbrica) dei valori che evidentemente risuonano nelle persone, a prescindere dal loro ruolo. Quest’azienda racconta la passione per la performance moticiclistica e dei motori, che diventa la passione a partecipare alle gare, ma è anche un racconto di design e di bellezza che intriga chi ha la passione del design e magari non va in moto. Le persone che lavorano in Ducati comunicano passione e ti affascinano: il ducatista è la persona che ha in comune con Ducati uno o più di questi valori. Per farti un esempio, tempo fa abbiamo lanciato un concorso online dal titolo “Design your dream Ducati”, diviso in due categorie, “moto” e “everything but bike” (tutto ciò che non era moto). Il titolo si prestava a una doppia interpretazione: disegna la tua Ducati da sogno, ma anche raccontaci il tuo sogno Ducati. Sono arrivate cose incredibili: una macchina del caffè fatta con il telaio a traliccio, scarpe da donna con tacchi ispirati alla moto, anelli, bozzetti di moto realizzati da ragazzini su un foglio strappato da un quaderno a quadretti. Questo è il ducatista: una persona che incontra la marca in una delle sue molteplici espressioni. Esagerando un po’ possiamo dire che il nostro vero business non è quello delle moto, ma quello dell’entertainment. Per dare l’idea di questo concetto, abbiamo una chart di Power Point dove abbiamo messo la moto al centro e attorno ad essa abbiamo applicato un sistema di eventi, prodotti, servizi, racconti, cose diverse dalla moto che possano offrire un’esperienza Ducati 7 giorni su 7. È un sistema che comprende i club, le tribune al Mugello durante la Moto GP, il mondo dei social, delle app, l’abbigliamento e gli accessori, le scuole guida, gli eventi, ecc… Un sistema che offre potenzialmente un’esperienza di marca continua, che va oltre il prodotto, ma che ha nel prodotto il suo centro di gravità».

C’è stato un momento, da quando sei in Ducati, in cui è accaduto qualcosa di fuori dall’ordinario?
«Sì, l’anno scorso durante il World Ducati Week, un fine settimana che organizziamo ogni due anni a Misano durante il quale Ducati ringrazia la community e saluta tutti, ducatisti e non. L’organizzazione dell’evento richiede un anno di lavoro, il progetto è davvero enorme: la presenza dei piloti storici, le attività nel paddock, i giri di pista e molto altro in una tre giorni davvero intensa che coinvolge tutta l’azienda. La settimana che precede l’evento è la più stressante, e nei tre giorni della manifestazione siamo immersi nella confusione e nel rombo dei motori dalla mattina alla sera. L’anno scorso, arrivati alla domenica pomeriggio, abbiamo iniziato il disallestimento: eravamo fisicamente provati dall’organizzazione dell’evento e finalmente sull’area era calato un silenzio quasi inaspettato. Fu proprio in quel momento, di fronte ad un tramonto spettacolare, che decidemmo di prendere i motorini elettrici, che fino a quel momento ci avevano permesso di spostarci tra le varie zone della manifestazione, e ci lanciammo in pista. Immagina questo gruppo di colleghi stanchi, e parecchio sudati, che nel silenzio più totale, a bordo di motorini elettrici, ha fatto il giro della pista senza dire una parola. Difficile spiegare l’emozione di quel momento, ma condividere quell’esperienza con i colleghi che tanto avevano lavorato in quei giorni ci ha fatto dimenticare, per un attimo, di non essere in sella a una Ducati».

Articolo: Sonia Milan  Shooting fotografico: Adriano Mujelli  Assistente alla fotografia: Brigida Allieri

sonia milan

Giornalista - SEO - Digital Strategist

Mastica scrittura e informatica da quando i modem andavano a 14K. Ha pensato di farne un lavoro.