Nicola Martini, Mr. Martini, Customizer, Workplace, Verona, Italy

«La motocicletta non è altro che questo: un sistema di concetti realizzato in acciaio. In essa non c’è pezzo, non c’è forma che non sia uscita dalla mente di qualcuno». Cit. “Lo zen e l’arte della manutenzione della Motocicletta”.

Credo esistano diversi modi per scrivere di motociclismo. Lo si può fare utilizzando un approccio squisitamente tecnico, ad esempio. Oppure è possibile spingersi oltre tentando di trovare un significato metafisico dietro ad un manubrio, un motore e un gruppo di cilindri come fece Robert Maynard Pirsig nel suo romanzo “Lo zen e l’arte della manutenzione della Motocicletta”.

L’incontro con Nicola Martini, alias Mr. Martini, figura di riferimento nel mondo della customizzazione, mi permette di affrontare l’argomento nel solo modo che conosco: attraverso il racconto dei sogni, dell’animo e della visione del futuro di un uomo che ha fatto delle “due ruote” il suo personale centro di gravità.

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Non è umanamente possibile parlare di Nicola senza aver visitato il suo mondo. Il suo atelier, ad esempio: un vero e proprio salotto nel quale fa bella mostra di sé una Triumph Sprint 900, modificata e trasformata in un cimelio da esposizione. «La prima moto Triumph che ho venduto nel 1994 e che ha rappresentato il primo mattone per costruire quanto sono riuscito a realizzare in questi anni», ci dice. Mr Martini-140

Gli occhi di Nicola Martini parlano. Si illuminano ogni qualvolta si sofferma a guardare un dettaglio, che sia una carena smontata, un telaio su banco di lavoro o una moto in attesa di essere riportata a nuova vita: ogni pezzo costituisce una storia da raccontare.

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Un mondo, il suo, che non si ferma ad uno showroom e ad un’officina di elaborazione. Da pochi mesi, all’interno di un ex distributore di benzina anni ’50 dapprima adibito a concessionario, ha inaugurato il suo locale “Special Cafè”. Un luogo che rappresenta in pieno la sintesi del suo pensiero. «Un posto dedicato al mio stile di vita, un punto di riferimento dove ammirare moto uniche nel loro genere, abbandonarsi a un drink e avvicinarsi a un mondo anche per chi su una moto non ci è mai salito».

Gli occhi di MR. MARTINI parlano. Si illuminano ogni qualvolta si sofferma a guardare un dettaglio, che sia una carena smontata, un telaio su banco di lavoro o una moto in attesa di essere riportata a nuova vita: ogni pezzo costituisce una storia da raccontare.

Grazie Nicola per averci aperto le porte del tuo mondo. Puoi raccontarci come le due ruote sono entrate nella tua vita?

Devo tornare con la mente a quando ero uno studente dell’istituto alberghiero. A quei tempi mi dividevo tra la scuola e l’attività paterna del distributore di benzina con annesso lavaggio. All’epoca le stagioni estive nei ristoranti, per uno studente come me, erano molto remunerative. Riuscivo a ritagliarmi una piccola indipendenza economica che mi permise di comprare la prima moto all’insaputa dei miei genitori. Ad ogni modo, lavorare da mio padre al distributore mi piaceva perché mi consentiva di dedicarmi alla mia seconda passione dopo la cucina: la meccanica.

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Ed è stato proprio lì che si è verificato l’evento che ha determinato poi le scelte più importanti della mia vita. Mi innamorai a prima vista di un Harley Davidson. Fermai il ragazzo alla guida che si era fermato per fare il pieno e gli chiesi cosa dovevo fare per poterne avere una tutta mia. All’epoca, e parliamo del 1984, vedere una Harley rappresentava un evento unico perché, in Italia, quelle moto non venivano importate.

Fui molto fortunato: bastarono alcune telefonate e il ragazzo riuscì a farmi acquistare dalla base militare USA di Vicenza una Harley Sportster. Avevo diciotto anni e potevo considerarmi uno dei pochi privilegiati possessori di un vero e proprio simbolo americano. Dopo la prima, seguirono altre due Harley Davidson.

Da motociclista a concessionario il passo è stato breve: come è iniziata l’avventura di Mr. Martini come “dealer” di motociclette?

“Rubai” a mio padre il chiosco del distributore per farlo diventare il mio spazio espositivo. Era il 1989 e cercavo un marchio che mi permettesse di iniziare il lavoro e, al contempo, di distinguermi rispetto agli altri marchi e concessionari già esistenti. Decisi, quindi, di iniziare l’attività vendendo le Royal Enfield. Si trattava di moto che rievocavano linee e filosofia degli anni ’50. Per certi versi rispecchiavano in pieno il mio desiderio di riflettermi in concetti molto classici.

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Mi sono sentito un vero e proprio pioniere: le Enfield erano moto che definirei “rognose”: erano costruite in India e dovevano essere smontate, modificate e rimontate per poterle rendere affidabili. Fu così che mi improvvisai meccanico, costruendo anche qualche pezzo in totale autonomia. A testimonianza di quel periodo ne conservo ancora una qui nel mio locale, ricomprata qualche anno fa e customizzata secondo il mio gusto.

Le Royal Enfiel hanno però rappresentato solo il primo passo del tuo percorso in questo mondo. C’è stata, negli anni a seguire, una figura determinante per la tua crescita personale e professionale?

Si, e risponde al nome di Carlo Talamo.

Carlo è stato un personaggio fuori dal comune che ha avuto il merito di creare il fenomeno Harley Davidson in Italia e di riportare le moto Triumph nel nostro Paese. Lo conobbi in occasione del Salone di Milano nel 1993, esprimendogli subito la mia ammirazione per la sua attività nel mondo Harley. In una sua visita a Verona gli mostrai gli spazi della mia piccola concessionaria.

«Vendetti la mia Harley DAVIDSON personale per avere il capitale sufficiente a intraprendere la nuova attività». Mr Martini

Grazie al suo sostegno aprii nel febbraio successivo la concessionaria Triumph veronese Numero 3 . Il chioschetto rubato a mio padre poteva ospitare fino a tre moto. Piano piano mi allargai occupando anche la sala adibita al cambio dell’olio. Vendetti la mia adorata Harley per avere il capitale sufficiente a intraprendere la nuova attività. Vivevamo ancora nell’epoca in cui bastavano pochi soldi e tante buone idee per dare vita a un progetto. Oggi tutto questo non è più possibile. Per intraprendere progetti a lungo termine bisogna avere risorse economiche ingenti e soprattutto la capacità di vedere oltre l’orizzonte.

Il primo anno vendetti sei moto, il secondo anno riuscii a raddoppiare il fatturato. La mia avventura con Triumph aveva avuto ufficialmente inizio.

«Ho iniziato a customizzare le moto fin da subito. Concentravo il mio lavoro su qualche piccola elaborazione: verniciature, modifiche agli scarichi e poi via via modifiche sempre più profonde. Era un’impresa trovare anche solo i pezzi necessari a rendere le moto veramente uniche». Mr Martini

Già nei primi anni mi dilettai nei primi esperimenti di creazione di moto special; ero l’unico referente nel Triveneto sia per il marchio Triumph che per la customizzazione delle moto.

Come si è sviluppata l’attività dopo l’apertura del concessionario?

Ho iniziato a customizzare le moto fin da subito. Concentravo il mio lavoro su qualche piccola elaborazione: verniciature, modifiche agli scarichi e poi via via modifiche sempre più profonde. Era un’impresa trovare anche solo i pezzi  necessari a rendere le moto veramente uniche.

Hai affrontato in quel periodo momenti cruciali o particolarmente difficili?

Il 1999 ha rappresentato un altro anno di svolte e scelte importanti. Nonostante stessi bene nella mia condizione economica decisi di rischiare. E rischiai avendo comunque la pazienza per trovare la location maggiormente adatta ad ingrandire l’attività. Trovai dopo un anno di ricerche il posto dove siamo seduti ora: una vecchia stazione di servizio ESSO degli anni ’50. L’investimento è stato ingente. Carlo Talamo mi appoggiò in questa operazione contribuendo a fornirmi tutta la materia prima di cui avevo bisogno: le moto.

 

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Nel mentre, continuavo a customizzare. Iniziai a realizzare le prime Cafè Racer utilizzando come base i vecchi modelli Trident. Buona parte del tempo era dedicato anche alla caccia di componenti e parti meccaniche nei mercatini che mi permettessero di personalizzare le moto al punto tale da renderli dei pezzi unici. Credo di essere stato uno dei primi a creare dei kit di personalizzazione specifici, in questo caso per la Triumph. Ho avuto il merito di identificare uno stile e dargli continuità nel tempo.

Ad ogni modo, Il kit rimane una soluzione standard, a rischio di ulteriore omologazione. Per questo ho continuato anche a personalizzare moto per darle un aspetto unico e inimitabile.

Nel tuo presente e nella tua carriera vanti una serie di collaborazioni con marchi prestigiosi come Ducati, BMW, Kawasaki e altri. Come è iniziato questo percorso di partnership?

Alla fine del 2003 mi fece visita l’amministratore delegato di Triumph. Rimase affascinato dai modelli unici che ero stato in grado di creare. In particolare, rimase impressionato dai colori e dalle forme. Tornò in Inghilterra convinto che dovessi lavorare per loro. L’anno successivo mi fece inviare un modello di pre serie della Truxton da customizzare. L’intenzione dell’azienda era quella di affiancare il modello speciale alla moto di serie in occasione della presentazione in anteprima mondiale. Ignoravo però il fatto che altri due modelli di preserie erano stati inviati ad altri due customizzatori. Alla fine scelsero il mio progetto. La moto venne presentata all’Ace Cafe di Londra. Quella fu l’occasione in cui mi affermai ufficialmente in ambito internazionale.

La collaborazione stretta con Triumph mi ha permesso di uscire dai confini nazionali e di farmi conoscere nel mondo.

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Oggi siamo ospiti di “Special”, il locale dalle tante anime (officina, store, bar e ristorante) dedicato esclusivamente al mondo delle due ruote, nato dopo la chiusura del tuo rapporto storico con Triumph. Si può affermare che tu sia riuscito a creare un’identità in cui non solo i biker, ma anche persone apparentemente lontane dal mondo della moto, si possono identificare? Era un tuo obiettivo o una conseguenza che solo ora stai constatando?

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Il mio sogno era quello di provare ad andare oltre il mero concessionario, creando un vero e proprio concetto di vita slegato dai soliti schemi. Il fatto di aver realizzato un locale come “Special” non è da ricondurre strettamente alla mia personalità di biker, ma ad una visione più generale delle cose: visione che vuole essere espressione di gioiosità e che permetta alle persone di entrare in atmosfere insolite e vivere emozioni differenti. Anche per coloro che non sono mai saliti su una moto.

Perché anche immergersi in questo mondo da semplice osservatore ti permette di entrare in un diverso stato di libertà mentale. Libertà intesa come la capacità di esprimere sé stessi non solo in sella, ma nella vita e nel lavoro di tutti giorni. Solo così ci si può sentire ancora vivi.

«anche solo immergersi in questo mondo DA semplice osservatore ti permette di entrare in un diverso stato di libertà mentale. Libertà intesa come la capacità di esprimere sé stessi non solo in sella ma nella vita e nel lavoro di tutti giorni. Solo così ci si può sentire ancora vivi».

Cosa riserva il futuro di Mr. Martini?

Al momento non mi allontano dal mio locale. Perché per me oggi “Special” rappresenta il luogo più bello del mondo. Quello che forse mi manca è la possibilità di isolarmi, di stare un momento per i fatti miei. La mia solitudine, i miei spazi sono fondamentali: ho bisogno, a volte, di restare da solo con i miei pensieri. Ma ora non ho tempo. Voglio mettere a regime questa “macchina complessa”. Sicuramente troverò nuove formule di stimolo e innovazione, ma per almeno due anni voglio concentrarmi sulla consulenza per i marchi motociclistici che hanno necessità di tornare a contatto con il mondo reale, con la “strada”, come la intendo io.

Diamoci appuntamento tra due anni e vedremo insieme cos’altro sarò riuscito ad estrarre dal cilindro.

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Il pistone della prima Harley Davidson posseduta da Mr. Martini, ora diventato il suo portafortuna.

Articolo: Mauro Farina  Shooting fotografico: Adriano Mujelli

 

Mauro Farina

Founder - Creative Content Manager

Altoatesino di nascita, bolognese nel cuore e veronese d’adozione, vive in simbiosi con la sindrome del bambino di fronte alla vetrina del negozio di giocattoli. Vorrebbe comprare tutto, ma non potendoselo permettere sublima raccontando ciò che divora con gli occhi.