Michele Vallenari “Passion Handcraft”, Craftsman

«Il surf è rivelazione. Ti cambierà la vita». Sono passati 25 anni dall’uscita di Point Break, il film cult per un’intera generazione magistralmente diretto da Kathryn Bigelow.

Un film nel quale, oltre ad alte dosi di adrenalina sparata dritta al cuore dello spettatore, emerge dirompente l’immagine di una comunità di surfisti e della loro filosofia selvaggia e avventurosa fondata sulla loro passione per il mare e le sue onde, elementi imprescindibili per appagare la loro voglia di libertà, e il rifiuto della vita convenzionale simboleggiata dai «quei morti viventi che strisciano sulle autostrade nelle loro infuocate bare di metallo.»

«Il surf è rivelazione. Ti cambierà la vita». Michele Vallenari

 

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Senza spingerci troppo oltre, ciò che il surf rappresenta per Michele Vallenari, veronese, surfista, artigiano, può essere spiegato proprio con il termine “rivelazione”. Michele Vallenari può essere considerato l’esempio più evidente di come sia la passione a produrre il talento grazie alla tenacia, allo spirito di iniziativa e al coraggio di fare scelte tutt’altro che conservative.

Michele Vallenari primo piano

Michele Vallenari mi ha colpito proprio per questo suo approccio diretto e frontale alla vita, e non ho potuto esimermi dal volerlo conoscere, andandolo a trovare nella sede di Passion Handcraft, il suo laboratorio artigiano di tavole da surf.

Grazie Michele per averci accolto nel tuo laboratorio per permetterci di conoscere la tua storia e la tua attività. A prima vista, dando solo una rapida occhiata intorno, ho l’impressione che la tua passione per il surf scaturisca da un’altra esigenza primaria. Ci puoi spiegare come è nato il percorso che ti ha portato a creare Passion Handcraft?

La mia vita ha due elementi fondamentali e imprescindibili: l’amore per la natura e per la manualità. Entrambi mi definiscono e mi distinguono come persona: non posso e non voglio prescindere da essi.

Una delle prime espressioni di questa vicinanza alla natura è stata senza ombra di dubbio la pratica dello snowboard. Fin dalla tarda adolescenza non perdevo occasione per aggregarmi al mio gruppo di amici in direzione dei monti per passare giornate intere su una tavola. La passione per lo snowboard è andata presto ben oltre la sola ricerca di discese più o meno difficili e ho provato a realizzare artigianalmente qualche tavola. Sono sempre stato bravo con le mani, ma ero assolutamente digiuno di nozioni in questo campo. Mi sono affidato agli unici insegnanti su cui potevo contare in tempi rapidi e senza costi aggiuntivi: i video tutorial su Youtube. Non ci volle molto per uscire su una pista con la prima tavola self-made realizzata da autodidatta.

Come nasce la tua passione per il surf?

Il passaggio al surf è sempre stato nella mia mente. La scintilla che ha messo in moto tutto il mondo che ho costruito fino ad oggi è nata da una vacanza a Capo Mannu in Sardegna, uno dei migliori spot in Italia per praticare questa disciplina. Ho imparato a surfare grazie all’aiuto e ai preziosi consigli di un ragazzo del posto e da allora non ho più smesso.
Mi sono immerso fin da subito: non solo in acqua, ma anche in quella che è una vera e propria comunità: ragazzi che condividono non solo una passione, ma un modo univoco di pensare che li accomuna in un senso di libertà assoluto e in un profondo rispetto per l’ambiente naturale che li ospita e li accoglie.

Michele Vallenari tavole da surf

Anche in questo caso il solo appartenere a questa comunità non poteva essere sufficiente per i miei gusti. Volevo diventare un artigiano di tavole da surf.

«Mi sono immerso fin da subito: non solo in acqua, ma anche in quella che è una vera e propria comunità». Michele Vallenari

Anche nei tuoi primi tentativi di realizzare e tavole da surf hai iniziato da zero o ti sei affidato a qualcuno che potesse in qualche modo formarti sulla materia?

Non sapevo come iniziare a imbastire una tavola, ma avevo capito che non avrei voluto fare altro. Quindi, per imparare, decisi di rivolgermi ai migliori sulla piazza: nel 2011 partii per l’Australia.
Dopo nemmeno tre mesi venni assunto come apprendista da Mark Riley, uno degli artigiani più rinomati nel mondo del surf. Mark rimase estremamente colpito dalla passione che mettevo nel lavoro: mi destinò fin da subito alla resinatura delle tavole, uno dei processi di produzione più importanti e delicati. Però entrambi eravamo consapevoli che la sola passione per quello che facevo non era ancora in grado di compensare la mia mancanza di esperienza. Mi convinsi che, per fare di quella attività il lavoro della mia vita, dovevo impegnarmi ancora di più.

Michele Vallenari

«Non sapevo come iniziare a imbastire una tavola ma avevo capito che non avrei voluto fare altro». Michele Vallenari

Mi presi quindi la briga di cercarmi un artigiano che, nelle mie giornate libere, potesse insegnarmi tutti i segreti del mestiere e colmare così le mie lacune. Lo trovai nella persona di Karl Schaefer, un maestro riconosciuto tra gli artigiani del settore con decine di collaborazioni con le più importanti aziende esistenti, ad un’ora e mezza da Cronulla, cittadina dove risiedevo (a Sud di Sidney ndr.).

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Karl è stato un mentore per me: per due anni ho passato tutti i weekend ad imparare le varie fasi di produzione delle tavole da surf, mentre durante la settimana lavoravo da Riley. I risultati non tardarono ad arrivare: potevo finalmente definirmi un artigiano del surf anche io, allievo di alcuni tra i migliori maestri.
La fine di quell’avventura è stata dettata da due motivi: da un lato un grave infortunio al ginocchio che mi constrinse al ritorno in Italia. Dall’altro la mancanza di occasioni per socializzazione al di là del surf. La distanza da una città cosmopolita, come ad esempio Sidney, non consentiva grandi occasioni di fare nuove conoscenze, quantomeno per uno straniero come me.

Da quanto mi racconti le tue scelte di vita sono sempre state drastiche, hanno comportato fatica, sacrifici e distacco da casa. Al contempo ti hanno portato innegabili soddisfazioni personali. Immagino che al tuo ritorno, con un curriculum così ricco e con maestri di livello superiore, tu non abbia avuto problemi a inserirti in una realtà artigianale italiana. Corretto?

Al contrario. Al mio ritorno domandai a diversi produttori artigiani di poter collaborare con loro ricevendo solo rifiuti. Purtroppo ho rapidamente constatato come in Italia sia difficile anche solo riuscire ad aprire una qualche forma di collaborazione. Dall’altra parte del globo, invece, senza sapere una parola di inglese ho trovato subito disponibilità solo grazie alla mia voglia di fare. L’unico merito che mi attribuisco è quello di non aver pensato di mollare nemmeno per un secondo: volevo fare questo lavoro ad ogni costo. Decisi di mettermi in proprio, iniziando ad allestire il posto dove ci troviamo ora.

Siamo appunto ospiti del tuo laboratorio, proprio di fronte ad una tavola in fase di realizzazione. Quante e quali sono le fasi di produzione?

Esistono diversi tipi di costruzione: la tavola classica in poliuretano che viene resinato con della resina poliestere, oppure si può utilizzare dell’EPS (polistirolo ndr.) resinato con una resina epossidica.

Michele Vallenari nel suo laboratorio
La scelta dei materiali è di fondamentale importanza per me ed è dettata dal contributo che voglio dare al rispetto dell’ambiente: lavoro solo con il polistirolo EPS perché è totalmente riciclabile ed è meno inquinante durante il processo di produzione. Inoltre, le resine che utilizzo sono totalmente ecofriendly.

Si parte ovviamente dal materiale grezzo. In un primo momento, al blocco di polistirolo vengono applicate lateralmente delle dime che lo tengono fermo. Si passa un filo caldo per dare la prima forma alla tavola e successivamente si applica alla tavola stessa l’anima in legno che ne conferisce stabilità.
Otteniamo quindi una tavola al grezzo, pronta per essere lavorata nel dettaglio. Una volta terminata questa fase si conclude il lavoro con la resinatura.

In due anni sei passato da trasferirti dall’altra parte del globo a tornare e metterti in proprio partendo letteralmente da zero: come sei riuscito a creare un tuo mercato, una rete di clienti che ti permettesse di iniziare l’attività e di crescere?

È stato come applicare la teoria dei centri concentrici alla mia attività: ho iniziato dapprima a realizzare tavole per alcuni amici e poi sono stato aiutato dal passaparola. Infine, una grande mano mi è stata data dai social network: i contatti nati grazie ai miei profili Facebook e Instagram sono stati fondamentali per far crescere la mia attività. Non faccio mai stock di materiali: lavoro solo su ordinazione senza avere mai giornate vuote. E tutto questo in due anni. Non potrei chiedere di meglio.

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L’allestimento del tuo laboratorio rispecchia fedelmente il tuo rapporto con la natura: si nota non solo dai materiali che utilizzi ma anche e soprattutto dall’arredamento. Se non fossimo all’interno di un capannone giurerei di essere seduto dietro ad una sorta di baita di montagna. Cosa hai portato del tuo stile vita nel tuo lavoro?

Ogni surfista ha una spiccata predisposizione al rispetto per l’ambiente, a prescindere dalle mode. La mia affinità verso la natura non è una cosa che si costruisce a tavolino, ma nasce dall’istinto, dalle sensazioni che provo quando faccio attività sportive e mi sento bene a contatto essa.

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La scelta di usare solo materiali ecosostenibili per il mio lavoro nasce solo da questa consapevolezza.

«Ogni surfista ha una spiccata predisposizione al rispetto per l’ambiente, a prescindere dalle mode». Michele Vallenari

La passione per il surf porta al rispetto assoluto dei luoghi che mi ospitano: rispetto che nasce dalla bellezza dello spot dove sto praticando. Ho l’istinto di preservare questa bellezza, non solo per me ma anche per gli altri. Vivo questa filosofia ogni giorno e la confermo anche nel mio modo di lavorare. L’industria del surf, quella della produzione industriale di massa, a mio avviso si distacca dalla vera realtà dello spirito degli appassionati.
La produzione di serie fa a pugni con la filosofia del surf perché scende a compromessi a favore della mera logica commerciale dei numeri. Io punto tanto sul fattore ecologico e sono sicuro che anche il mercato stesso stia andando in questa direzione. Non importa che questo sia una moda oppure no, io ne sono pienamente convinto.

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Mi accennavi prima alla tua scelta di diventare un libero artigiano, vista la totale mancanza di opportunità di lavoro con le realtà del settore già esistenti in Italia. Secondo te, cosa manca al nostro Paese per competere con i concorrenti esteri?

In una parola sola: collaborazione. Ognuno è geloso di quello che fa e nessuno pare disposto a insegnare a terzi: manca la presa di coscienza del fatto che sia possibile crescere attraverso il supporto reciproco. In Italia ci sono artigiani bravissimi, dal punto di vista del prodotto non abbiamo niente da invidiare agli australiani che hanno solo il vantaggio di avere più spot disponibili per provare le proprie tavole. La differenza sta nel fatto che nel nostro Paese ognuno fa sistema a sé. Credo, però, che esista un modo per rompere questo circolo vizioso. Curando ad esempio le proprie relazioni personali e spiegando che, attraverso la mutua collaborazione, si possono raggiungere risultati comuni e soddisfacenti per tutti. Ci vuole tempo, pazienza e onestà nelle intenzioni, ma sono sicuro che questa sia l’unica strada da percorrere.

Hai trascorso quasi due anni della tua vita in Australia: non solo per imparare il mestiere ma anche, immagino, per godere di alcuni tra i migliori spot al mondo con la tua tavola da surf. Indubbiamente, avrai avuto diverse occasioni per conoscere i surfisti autoctoni. Il movimento del surf australiano è molto diverso da quello italiano come tradizione, rituali o regole?

È sicuramente diverso, anche perché la cultura australiana di questa disciplina ha radici molto più antiche. Quello che invece le accomuna è il cosiddetto localismo. Esistono alcune regole non scritte per l’utilizzo dei vari spot, regole che devono essere rispettate. Se, come “forestiero”, le trasgredisci non sarai di certo ben visto dai surfisti del luogo, fino ad essere apertamente osteggiato.

«La cosa che più mi rende felice è constatare il gruppo di amici appassionati che ho contribuito a creare». Michele Vallenari

Oggi sei il titolare di una realtà, Passion Handcraft, che rispecchia esattamente la tua persona ed il tuo animo. C’è un altro elemento particolare che ti rende felice in tutta questa avventura?

La cosa che più mi rende felice è constatare il gruppo di amici appassionati che ho contribuito a creare: mi rendo conto di essermi circondato inconsciamente di belle persone con cui si è creato un feeling non comune, un legame che diventa sempre più stretto, avendo come unico strumento una tavola da surf. Questo non mi porta niente dal punto di vista economico, ma mi fa sentire ricchissimo e felice: più felice persino di quando mi ritrovo qui, da solo, di fronte a un pezzo di polistirolo grezzo, a realizzare una nuova tavola.

Michele Vallenari primo piano

Articolo: Mauro Farina  Shooting fotografico: Davide Galandini 

Mauro Farina

Founder - Creative Content Manager

Altoatesino di nascita, bolognese nel cuore e veronese d’adozione, vive in simbiosi con la sindrome del bambino di fronte alla vetrina del negozio di giocattoli. Vorrebbe comprare tutto, ma non potendoselo permettere sublima raccontando ciò che divora con gli occhi.