«Bologna è bella, amabile, degna di essere goduta con l’anima e la carne». Basta camminare in una sera di luglio, lasciandosi trascinare dalle voci e dai volti che popolano i locali tra il Mercato delle Erbe e il Quadrilatero nel centro città, per capire come le parole di Rino Alessi* siano quanto mai attuali.
È questa la Bologna che vive: una città che nonostante le cronache buie degli ultimi anni cerca di risollevarsi affidandosi soprattutto a chi a Bologna non appartiene per nascita ma per scelte di vita. Marco Bertoncini è uno tra questi. Ci attende nel plateatico del suo locale, in pieno centro storico a meno di cento metri di distanza da Piazza Maggiore.
Marco tradisce da subito con il suo accento le sue origini bergamasche nonostante gli anni trascorsi nella città felsinea e all’estero. Si trasferisce a Bologna nel 1999 con un diploma in mano e idee in abbondanza.
Marco, il tuo è un arrivo a Bologna con l’ambizione di giungere ad una laurea in Scienze della Comunicazione. Cosa ti ha portato a trasformarti in un bartender?
È stata senza dubbio una trasformazione dettata dagli eventi. Già a Bergamo avevo iniziato le prime esperienze da barista in svariati locali; poi al mio arrivo a Bologna ho proseguito a lavorare per vari locali, in parallelo con lo studio.
Probabilmente la scelta di fare del bartending la mia professione definitiva è maturata durante il mio periodo spagnolo. Al termine dell’anno di Erasmus a Girona decisi di rimanere in Costa Brava a lavorare stagionalmente.
Al mio ritorno a Bologna c’erano tutti i presupposti per portare in città tutta l’esperienza e le idee maturate nel frattempo. Ho iniziato insieme a due soci ad organizzare varie serate in un locale al centro della zona universitaria. Visto il successo ottenuto, pochi mesi dopo abbiamo rilevato un locale storico bolognese: il “Contavalli”. All’epoca eravamo tre incoscienti senza nessuna importante esperienza gestionale alle spalle. È stato un periodo incredibile: abbiamo commesso tanti errori ma ci siamo tolti enormi soddisfazioni.
Può bastare gestire un locale affermato e popolare per crescere professionalmente come bartender?
No, assolutamente. Dall’inizio di questa avventura decisi che per ogni anno di attività avrei investito in formazione personale, per potermi sentire in grado di dire sempre la mia in vari campi del mondo del beverage con cognizione di causa. Ho iniziato partendo dallo studio dei distillati, passando poi per le degustazioni di vino e caffè. Il mondo della caffetteria è forse l’ambito più complesso: ho studiato quasi tre anni per raggiungere un livello di conoscenza che definirei medio; e ancora ci sono sapori e miscele che fatico a spiegarmi.
«Il mondo del caffè è forse l’ambito più complesso: ho studiato quasi tre anni per raggiungere un livello di conoscenza che definirei medio; e ancora ci sono sapori e miscele che fatico a spiegarmi».
Come e quando nasce invece il tuo interesse per il mondo del gin?
Durante il mio periodo “catalano”. Per tanto tempo, soprattutto in Italia, il gin tonic è stato sinonimo di drink buono solo per accompagnare una serata in discoteca. Il più delle volte realizzato con distillati scadenti e acque toniche non all’altezza o peggio servite alla spina. Negli ultimi dieci anni invece, in città di tendenza come Berlino, Londra e nel mio caso Barcellona, ho potuto essere testimone di un nuovo approccio a questo distillato. Sono tanti i motivi alla base di questo cambiamento, ma uno in particolare mi ha colpito: un’intelligente operazione di marketing da parte dei brand più famosi sul mercato ha fatto sì che il bicchiere in cui veniva servito un gin tonic passasse dal classico tumbler al bicchiere “ballon”, fino ad allora conosciuto per degustare certe tipologie di vino rosso. A prima vista potrebbe sembrare una sciocchezza, ma queste e altre azioni promozionali messe in campo dai produttori hanno posto il gin tonic come uno dei drink simbolo della movida catalana. Questa sorta di “epopea” l’ho vissuta lavorando come barman in Costa Brava durante l’estate del 2011.
E quindi hai pensato di importare In Italia il trend che si stava affermando in Europa. In che modo?
Lavorando in Catalogna ho avuto modo di apprendere i corretti abbinamenti tra i gin di gamma premium con le migliori etichette di acqua tonica al mondo. Ho imparato ad aromatizzare i cubetti di ghiaccio utilizzando ad esempio limone, cardamomo e altri botanici.
Una volta tornato a Bologna dedico di lasciare la gestione del mio vecchio locale e di ripartire rilevando un minuscolo bar che avevo già gestito in precedenza: il “Caffè Ristretto“.
La scelta di ripartire da capo aveva uno scopo ben preciso: oltre a far conoscere l’universo del gin volevo creare qualcosa che fosse dedicato alla mia idea di prodotto, legato strettamente alla qualità del bere e non solo all’affabilità del barman.
«La scelta di ripartire da capo aveva uno scopo ben preciso: oltre a far conoscere l’universo del gin volevo creare qualcosa che fosse dedicato alla mia idea di prodotto, legato strettamente alla qualità del bere e non solo all’affabilità del barman».
Per prima cosa ho dovuto fare fronte all’assoluta mancanza di gin di alta gamma sul mercato italiano. Quando chiedevo determinati marchi ai miei fornitori abituali mi guardavano come fossi un alieno. Da un lato il loro sconcerto per le mie richieste mi aveva fatto capire che stavo seguendo la giusta direzione: ero evidentemente il primo a Bologna e tra i primissimi in Italia a interessarmi concretamente a diffondere la cultura del gin. Ho iniziato quindi ad acquistare le prime bottiglie nei duty free degli aeroporti, e in alcuni casi anche in modi, come dire, semiclandestini. Ho iniziato letteralmente a “smontare” un gin per capirne tutti gli aspetti: dalla tecnica di distillazione fino ai sapori e aromi dei botanici contenuti in esso. Ho passato intere giornate in erboristeria ad acquistare erbe per studiarle e metterle in infusione. Mi sentivo una sorta di “pioniere”.
«Per prima cosa ho dovuto fare fronte all’assoluta mancanza di gin di alta gamma sul mercato italiano. Quando chiedevo determinati marchi ai miei fornitori abituali mi guardavano come fossi un alieno».
Ho poi dovuto affrontare il problema di come produrre il ghiaccio. Può sembrare una cosa stupida, ma ci vuole una precisa proporzione del cubetto per riuscire ad equilibrare perfettamente ghiaccio, gin e tonica. Nel mio gin tonic ideale ci sono tra i sette e gli otto cubetti che entrano in equilibrio termico con il gin. Questo è uno degli aspetti fondamentali che fanno la differenza tra un gin tonic equilibrato ed uno pessimo. Ho risolto questo problema procurandomi una macchina in grado di produrmi cubetti da 50 grammi esatti, con acqua che avevo provveduto precedentemente aromatizzare con i botanici.
Come sono stati i riscontri della tua cerchia di clienti?
Ti dirò la verità: all’inizio non molto esaltanti. Ma ero convinto del fatto che il trend del gin tonic prima o poi si sarebbe imposto sulla piazza. Chiaramente non è bastato riempire il menù con decine di varianti. Ho trasformato il mio bar in un locale aperto e informale, nel quale il cliente non beve soltanto ma apprende. Un luogo dove i miei barman non rispondono solo ad una comanda ma si relazionano con l’avventore. Anche solo per raccontare la storia che esiste dietro al drink che sta bevendo. Mi sono reso conto di aver raggiunto il mio obiettivo circa un anno e mezzo fa: sono arrivato al locale e ho visto tutta la sala e il plateatico piena di gente che stava bevendo i miei gin tonic. È stata una soddisfazione enorme.
Dal successo commerciale all’idea di una diffusione online della cultura del gin. Come è scaturito questo passo?
Anche questa idea parte da lontano. Ho registrato il dominio ilgin.it nel 2011, quando in Italia di gin non si parlava proprio. Il progetto è rimasto congelato per un po’, fino a quando ho valutato che i tempi fossero effettivamente maturi per presentarsi su internet con un portale web completamente dedicato a questo settore. Siamo partiti in quest’avventura io e i miei collaboratori* dopo mesi di riunioni con produttori, importatori, interviste a barman e dopo esserci documentati a dovere. Attualmente il sito registra circa 30.000 visualizzazioni al mese e continua a crescere.
Al punto tale da permetterci di passare alla seconda fase della nostra road map: ci proponiamo come scuola di formazione per barman e come incubatore per la fase di start up di nuovi locali; così come affianchiamo i nuovi brand che si stanno affacciando sul mercato italiano attraverso piani di marketing ad hoc e campagne di advertising. Sono iniziative che stanno raccogliendo ottimi riscontri. A dimostrazione di come negli ultimi anni il mercato del gin si sia definitivamente imposto, portando addirittura note distillerie italiane a entrare in questo segmento di nicchia. E noi siamo qui per dare loro tutto il sostegno possibile.
Quindici anni da cittadino bolognese ti consentono di dare un giudizio su come si è trasformata questa città dagli anni del tuo arrivo sotto le due torri ad oggi. Che cosa è cambiato nella movida bolognese dal 2000 ad oggi?
Quella che vedo adesso non la posso più chiamare cultura del bere. Perché si tratta di una ricerca dello sballo fine a se stessa, pericolosa e idiota. E se penso alla mia storia personale questo è uno dei motivi che mi hanno portato via da Bergamo.
Durante il mio periodo da studente ero quasi costretto a legarmi al letto nel disperato tentativo di presentarmi a lezione il giorno dopo. Perché ogni sera era buona per infilarsi in qualche festa. Bologna è una città che ti cattura e nessuno più di me può capire la voglia che si ha di “viverla”. Quello che però non riesco a comprendere è questa scelta, più o meno consapevole, da parte di tanti ragazzi di finire una serata senza più essere in grado di stare in piedi.
L’intenzione che nel mio piccolo sto cercando di portare avanti è quella di proporre un modello più sano e divertente per vivere la notte. Mi piacerebbe che i ragazzi fossero nelle condizioni di trovarsi in locali nei quali il barista che li serve abbia una anche minima volontà di promuovere un modo diverso di approcciarsi agli alcolici diventando propositivo, ad esempio attraverso delle serate degustative o raccontando la storia di un drink, un superalcolico o una bottiglia di distillato. Ad oggi vedo numerosi miei colleghi intenzionati a seguire questa strada, e questo mi conforta.
Forse anche perché Bologna e chi ci abita oggi ha voglia di cose nuove, di scoprire nuovi locali, nuovi ristoranti, realtà che siano più belle, pulite, frizzanti e conviviali. Una Bologna che ha voglia di lasciarsi alle spalle il grigiore di questi ultimi anni; un grigiore che non appartiene alla sua storia.
Marco Bertoncini è titolare del Caffè Ristretto nel centro storico di Bologna. È il creatore e promotore de ilgin.it, primo portale italiano interamente dedicato al mondo del distillato con ginepro e delle acque toniche.
Intervista: Mauro Farina Shooting fotografico: Susanna Sfilio & Leonardo Kurtz
*giornalista, scrittore e saggista italiano
** Giacomo Camerano e Vanessa Piromallo, redattori de ilgin.it