Marco Belli è il fondatore di Di Traverso School ed è considerato il “Professore” del Flat Track, al punto tale da insegnare a diversi piloti del Motomondiale i vantaggi nel controllo della derapata. Lo abbiamo incontrato per farci raccontare come è nata la sua passione per una disciplina così atipica.
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Il talento, nella vita, è una vera benedizione. Poi ci vuole impegno, determinazione, testa dura, per far diventare la propria passione un progetto di vita. Se poi però si ha anche un gran cuore, energia positiva da vendere e una simpatia contagiosa, ecco, allora quel talento e quell’impegno guadagnano una grandissima marcia in più. Marco Belli è così, uno che assomiglia alle moto che guida: semplici, genuine, quasi primitive. E divertenti, tanto divertenti. Le due ruote sono quelle del flat track, disciplina spettacolare che coi suoi “traversi” su piste ovali di terra battuta conquista sempre nuovi adepti intenzionati a capire come si fa a volare velocissimi perdendo aderenza in curva, alla ricerca di quel piacere che Marco Belli in sella sprizza da ogni poro.
Ed è driftando e sgasando che Marco si è guadagnato 4 titoli italiani, 3 titoli inglesi, 2 europei e 2 americani, affermandosi come il “re del flat track”. Oggi dopo una carriera di fatiche e straordinarie gratificazioni, Marco è il “prof” unanimemente riconosciuto della derapata perfetta: con la sua Di Traverso Flat Track School mette a disposizione di tutti i motociclisti anni di esperienza, trucchi e una valanga di entusiasmo, per far vivere la magia e l’emozione del rapporto dinamico, intimo tra moto e pilota sugli sterrati. Lo abbiamo incontrato sulla pista di Cadeo, in provincia di Piacenza, uno degli ovali in cui, in un’atmosfera davvero “campestre”, accoglie i suoi allievi, pronti per curvare a sinistra, veloci, sempre più veloci, attraverso nuvole di polvere e un mare di divertimento.
Marco, facci un tuo identikit sintetico!
«Marco Belli, varesino, quasi 47 anni, di cui una buona parte passati in sella, di traverso sugli ovali di tutto il mondo».
Una passione, la tua, iniziata prestissimo. Ricordi i tuoi primi traversi e le emozioni che hai provato?
«Eh, andiamo davvero molto indietro negli anni. Nel cortile dell’azienda di famiglia io, mio fratello e mio cugino, con le mitiche biciclette “Saltafoss” ci divertivamo a tirare il freno dietro per fare queste “sgomme”…».
«Da bambino avevo un poster di Freddie Spencer, il tre volte campione del mondo, nella mia cameretta. Oggi siamo grandi amici». Marco Belli
Come si sono evolute le moto nella storia del flat track? Dalle origini a oggi la relazione fisica tra moto e pilota non è cambiata così tanto.
«Il flat track nasce nelle grandi distese, dove un pilota andava a manetta in un senso, curvava e tornava indietro sempre al massimo. Erano campi aperti. Poi siamo passati ai board track, piste costruite su tavole di legno. E ovviamente nei decenni si sono evolute in parte anche le motociclette, specialmente per quanto riguarda le gomme, le sospensioni.
Ma fortunatamente in questa evoluzione l’elettronica non è entrata. Nel traverso ciò che conta è essere una cosa unica con la moto, per riuscire a interpretare centimetro per centimetro le condizioni del circuito. Siamo noi a dover ascoltare la terra che ti dice come essere trattata».
Che soddisfazioni hai collezionato nella tua lunga esperienza, a parte l’impressionante numero di podi?
«Ve ne racconto una. Da bambino avevo un poster di Freddie Spencer, il tre volte campione del mondo, nella mia cameretta. Oggi posso dire di avere girato su un ovale sterrato con lui e che se mi va posso chiamarlo al telefono e scambiare quattro chiacchiere. Siamo grandi amici.
Ma la cosa più incredibile che mi è capitata è essere diventato un personaggio di un videogioco, VR46. Io che sono rimasto a Donkey Kong e a Tetris sono stato costretto a comprare la Playstation per mio figlio!» (ride).
«Quando vedo esplodere i sorrisi sul volto dei ragazzi dopo un bel traverso, beh, devo dire che è qualcosa di davvero appagante, perché so di averli portati io a quel momento lì». Marco Belli
Tanti anni all’estero, a caccia di risultati importanti. E poi il ritorno a casa. Cosa ti ha spinto a rientrare in Italia?
«Ho corso per parecchi anni in Italia, poi però per seguire la mia passione sono dovuto andare all’estero, specialmente in Inghilterra dove il flat track era in costante ascesa e dove fortunatamente sono riuscito a esprimermi al meglio, sia sportivamente che umanamente.
Però sinceramente mi sentivo un po’ un cervello in fuga e così ho deciso di tornare e tra grandi difficoltà e sfide sono riuscito a fondare la Di Traverso per portare a tutti la mia passione. I miei risultati all’estero avevano creato una sorta di aspettativa per questa disciplina ed è per questo che quando ho aperto la scuola le iscrizioni, l’interessamento, le iscrizioni, i partecipanti hanno subito confermato che era il momento giusto per questo tipo di progetto».
Cosa significa passare dal punto vista del pilota, concentrato su se stesso, a quella in cui ti metti a disposizione degli altri come professore?
«Non è stato certamente facile scendere dalla sella e mettersi a bordo pista. Però quando vedo esplodere i sorrisi sul volto dei ragazzi dopo un bel traverso, beh, devo dire che è qualcosa di davvero appagante, perché so di averli portati io a quel momento lì.
Oltre agli insegnamenti tecnici, cerchiamo di trasmettere il senso profondo, la filosofia di questa disciplina, che vuol dire anche sentirsi parte di una grande famiglia. Inoltre molti piloti oggi si sono resi conto che il flat track è veramente formativo, e questo feeling ulteriore che acquisiscono lo possono trasporre e mettere a frutto nella propria disciplina. L’ulteriore conferma in questo senso arriva dal fatto che oggi sono coinvolto nel progetto Master Camp nel quale insegno proprio a giovani piloti emergenti il controllo della derapata».
Quanto è stato importante il sostegno di altre realtà, nel fare partire il progetto della Di Traverso Flat Track School?
«Di sicuro la Di Traverso oggi non sarebbe quella che è senza il supporto fondamentale dei partner che ci hanno accompagnato fin dal primo momento. Pakelo ad esempio ci ha dato subito fiducia, ha creduto da subito nel nostro progetto, nonostante fosse davvero una scommessa al buio!».
Cosa vi ha permesso di lavorare così bene insieme?
«Quello che ci unisce a Pakelo è una stima reciproca delle nostre rispettive professionalità. Siamo dei maniacali pazzeschi, sia noi che loro abbiamo un’attenzione al dettaglio quotidiana. La dedizione al nostro lavoro e la passione che ci mettiamo è davvero qualcosa di unico che credo ci accompagnerà sempre!
Cosa significa per te essere un Pakelo hero?
«Ovviamente: “GO FAST, TURN LEFT”! Questo per me è essere un Pakelo hero!».
Articolo: Silva Fedrigo Fotografia: Giuseppe Ippolito Videomaking: Lenny Pellico Coordinamento: Mauro Farina