Giovannangelo de Gennaro, Musicista: tutto comincia con una domanda

Giovannangelo de Gennaro è un musicista e suonatore di viella, uno strumento a corde che ha origini medievali. Collabora con Vinicio Capossela dal 2015 e ha una storia di accoglienza da raccontarci.

Non confidate in Google Maps. Di casa sua, Giovannangelo De Gennaro dice: è vicino la via Appia Traiana. Quella che va a Brindisi.
Più esattamente: andava a Brindisi. Era la via dei romani.

E tutto il suo mondo è così. Tutta la sua geografia, è una geografia invisibile. Una geografia non di spazi, strade e città, ma di storie: parole e persone. Non ha mappe, ha paesaggi, paesaggi e ritratti, perché quello che conta non è la linea che collega un punto all’altro, ma quello che le linee, tutte insieme, disegnano. Il suo mondo è un mondo di incontri, in cui quello che ti resta non è quello che hai visto, ma quello che hai sentito. 

E ti resta te stesso: il modo in cui il mondo ti ha cambiato. 

 

Studi in flauto traverso al Conservatorio di Bari, Giovannangelo De Gennaro è nato una prima volta nel 1968, e poi una seconda nel 2015, quando Vinicio Capossela l’ha scelto come suo musicista, e soprattutto, dopo anni in giro e un lungo periodo a New York, è tornato in Puglia, a Sovereto: 52 abitanti. E sostanzialmente, una strada sola. Una strada che non va più da nessuna parte, ormai, stretta tra la Bari-Foggia e un benzinaio, intatta in mezzo all’asfalto con le sue case in pietra dalle porte aperte e i rampicanti in fiore, e il solo rumore che è il rumore dell’acqua della fontana, una strada in cui non si passa: ci si ferma. E si fermano in tanti, qui, perché è qui, in realtà, che inizia il viaggio, mentre le auto sfrecciano veloci lungo la statale – perché il viaggio vero, in fondo, sono le persone.

Suoni, ma soprattutto cammini. Vinicio Capossela ti ha notato mentre andavi verso Santa Maria di Leuca: a piedi. E ogni sera, al tramonto, ti fermavi, e suonavi con i musicisti del luogo. Come hai cominciato?
«Con Santiago di Compostela. Anzi. Con un libro di Paolo Coelho su Santiago di Compostela. Avevo 31 anni, ed era il tipico momento in cui vieni lasciato, e pensi che la tua vita è finita. E quindi sono partito: a dicembre, senza alcuna esperienza, e soprattutto, alcuna attrezzatura, senza uno zaino adatto, una torcia, niente. Solo delle vecchie Timberland di mio fratello. E ovviamente è stato un disastro, mi sono ritrovato sui Pirenei mezzo affondato nella neve, controvento, con questa cappa nera con cui avevo molto l’aria del viandante, ma che era anche una specie di paracadute, e mi tirava via. Quando sono arrivato, però, dopo 33 giorni, è stato bellissimo. Davvero. Così bello che sono andato via subito».

«Bisogna andare via. Sempre. E non tornare. O andrai in cerca di quella stesse sensazioni, ancora: senza trovarle». Giovannangelo de Gennaro 

 

Sei andato via?
«Ma bisogna andare via. Sempre. E non tornare. O andrai in cerca di quella stesse sensazioni, ancora: senza trovarle. Perché intorno, intanto, tutto è cambiato. Tu per primo sei cambiato. Le aspettative sono una trappola. Tendiamo a ripeterci, a rifugiarci nella sicurezza della ripetizione. E invece è proprio lì il pericolo».

Suoni uno strumento molto singolare. La viella.
«Che è uno strumento medievale, sì. Ad arco. Una specie di viola».

 

 

Musica antica.
«Musica. E basta. Il passato mi ha sempre affascinato: ma proprio perché non è mai passato. Abbiamo tutto dentro. Tutto addosso. Un po’ come le pietre: plasmate dal tempo. E il Medioevo, poi, è stato un momento di straordinaria apertura culturale, perché si viaggiava molto, e si viaggiava davvero. Non in aereo. Arrivavi dopo mesi: arrivavi che eri un altro. E infatti oggi, per studiare il canto cristiano, studi il canto arabo. Ogni luogo aveva in sé un po’ di tutti gli altri. Ognuno, aveva in sé un po’ di tutti gli altri».

 

La viella era lo strumento dei trovatori. Che giravano di corte in corte, come tu ora di piazza in piazza. In un mondo in cui invece si sta insieme stando su Facebook.
«In internet non stai con gli altri, ma al più, tra gli altri. Stai solo».

«Cosa c’è di strano, nel bussare a una porta? Dobbiamo imparare di nuovo a chiedere. Nella vita tutto comincia con una domanda». Giovannangelo de Gennaro 

 

Ma come trovi chi ti ospita?
«Busso».

In che senso?
«Busso alla porta, no?».

Ma come bussi? Così?
«E certo. Cosa c’è di strano, nel bussare a una porta? Dobbiamo imparare di nuovo a chiedere. Nella vita tutto comincia con una domanda. Con una proposta. Un’apertura. E poi i greci insegnano che l’ospite è sacro. Perché non sai mai chi è realmente. Potrebbe essere Dio».

O una rapina.
«La paura è una costruzione politica. Ci dividono per controllarci meglio».

 

Ma com’è, stare con degli sconosciuti? Di che parli? Del tempo che fa.
«L’opposto. Parli di tutto. E con un’onestà e una profondità che con chi ti conosce non avresti mai. Perché si sta insieme per due, tre ore, e l’unica cosa che si sa dell’altro, è che il giorno dopo andrà via. Sparirà. E quindi ci si racconta quello che a stento si racconta a se stessi. Stare tra sconosciuti non crea barriere: le abbatte».

Hai avuto vent’anni nell’Italia dei paninari. Ma a Molfetta, la città in cui sei nato, c’era invece questo vescovo, don Tonino Bello. Che diceva: “Il viaggio più lungo è quello che conduce alla casa di fronte”.
«Era detestato dai potenti, detestato e deriso: e amato da tutti gli altri. Aiutava chiunque. Disoccupati, prostitute, tossici. Immigrati. E non aiutava semplicemente dando, ma condividendo. Non organizzava mense: aggiungeva posti a tavola. Perché insegnava con l’esempio. Con il gesto. Chiunque arrivava, era parte di noi. E non era necessario spiegare perché, perché era normale: è normale. Ad avere bisogno di spiegarsi, semmai, di giustificarsi, è chi fa il contrario».

Ed eri lì quando a Bari arrivò la Vlora. Con i suoi 20mila albanesi.
«Non mi colpirono per la disperazione, ma per il coraggio. La determinazione. Erano pronti a tutto per una vita migliore».

E in Albania, alla fine, ci sei andato con Vinicio Capossela. Con cui la tua viella è ascoltata da un pubblico molto più ampio di quello che avresti mai immaginato.
«Ha cambiato tutto, sì. Ha questa capacità fuori dal comune di stare nel momento. Magari ti dedica solo cinque minuti: ma in quei cinque minuti c’è davvero. Non è mai tempo passato insieme: è tempo vissuto insieme. Ognuno parte dell’altro».

 

 

Ma nessuno ti ha mai chiuso la porta?
«I preti!».

Ma come, i preti?
«Non tutti, ovviamente. Alcuni. Quelli per cui il pellegrinaggio è diventato un affare. E non aprono più mense, ma ristoranti. Ma perché appunto: le aspettative. E invece, come diceva Italo Calvino: bisogna cercare chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno. E dargli spazio».

 

 


Articolo: Francesca Borri     Shooting fotografico: Barbara Rigon