Felice Sorrentino, White Noise Art Project, Barcelona

Siamo in piena zona Raval, non troppo distanti dal vociare dei turisti che passeggiano ininterrottamente sulla Rambla, una delle zone più autentiche ed emblematiche di Barcellona.

Un barrio dalle tinte architettoniche controverse e dalla profonda varietà di etnia del suo popolo. Al terzo piano di un palazzo, che affaccia su un vicolo abbastanza anonimo, ecco che ci accoglie in un piccolo studio home made Felice Sorrentino con la sua compagna Giulia Gatti.

Felice Sorrentino è Founder & Ceo di White Noise Art, un progetto relativo alla creazione di eventi che coniugano esposizione artistica a dj set; una sorta di club museo dove si incontrano persone diverse con differenti passioni legate al mondo dell’arte in tutte le sue manifestazioni. Il white noise è quell’immagine, mista a rumore, che veniva riprodotta dalle vecchie televisioni in assenza di segnale, è la risultante della combinazione di tutte le frequenze sia alte che basse sulla stessa linea; da qui l’idea di creare un unico ritmo per più “voci”, intese come diverse forme d’arte.
Felice Sorrentino con il progetto White Noise Art fa una scommessa: credere nelle potenzialità degli artisti locali della capitale catalana, non conosciuti dalla maggior parte del pubblico. «Io ho creduto in loro e loro hanno creduto in me».


Felice Sorrentino è stato sempre incuriosito dal mondo artistico. «La mia passione per la musica nasce a soli otto anni, ho studiato pianoforte fino ai diciannove anni, poi ho fatto alcuni esami al conservatorio ma non ho terminato il percorso. Credo che l’importante sia saper esprimere qualcosa con la musica». Orgogliosamente napoletano di nascita, decide di farsi ispirare nelle sue scelte di vita dalla capitale del rinascimento: Firenze. Si iscrive alla facoltà di Arte, Musica, Cinema e Teatro; parlerà successivamente del cinema muto degli anni ’10 ad Hollywood portando una tesi dedicata al regista italo-americano Frank Borzage.
Sulla scia del regista insegue anche lui il sogno americano, accetta l’incarico di tre mesi in California per il montaggio di alcune colonne sonore. Un viaggio di sola andata che è durato quasi sette anni. «La passione per la musica non l’ho mai abbandonata durante questi sette anni, ma viaggiare era l’unico obiettivo». Così gira il mondo, con le sue cuffie, le sue idee, la sua curiosità e non si lascia spaventare dai cambiamenti, ma ne cavalca l’onda, apprende tutto ciò che si può apprendere.

Il viaggio cosa rappresenta per te?

«Il viaggio non è solo scoprire posti e culture nuove, ma trovarsi da solo in un determinato luogo e non saper parlare la lingua locale; può spaventare, ma è in quell’istante che comprendi che l’importante è fare l’esperienza, non dire mai di no. Viaggiare significa sfidare se stessi, scoprire ogni giorno qualcosa in più di te».

E queste esperienze in giro per il mondo come sono collegate alla tua persona e alla tua vita?

«Non ho nessun rimpianto fino ad ora, tutto quello che avevo in testa sono riuscito a realizzarlo, e quello che è successo doveva succedere. Le cose mai fatte prima, le persone incontrate sul cammino, le culture differenti mi hanno reso la persona che sono ora. La mia vita è costellata di musica, arte, cinema e viaggio: un amore quasi incondizionato per queste differenti forme di espressione».

Parliamo del progetto, White Noise Art: come è nata l’idea?

«Solo un anno fa ho deciso di spostarmi da una piccola provincia della Catalunya a Barcellona. Ho cominciato a frequentare molti club di musica, andavo alla ricerca di eventi di nicchia, e fu durante queste serate che mi venne l’idea. Ho conosciuto davvero molte persone, scoprendo poi che ognuna di esse faceva qualcosa di interessante a livello artistico, fotografico e musicale.

Queste persone avevano in comune una sola cosa: la passione per l’arte. Tornavo a casa e mi domandavo “perché considerare queste persone solo come spettatori di un evento e non invece considerarle dal punto di vista artistico?”. Insomma, queste persone avevano qualcosa di autentico da trasmettere».

E da quel momento come ha preso vita l’idea?

«Ho cominciato ad avere una mentalità orientata al progetto. Iniziai a notare ciò che la gente apprezzava e ciò che la gente non sopportava ad un evento. Quasi come un antropologo ne studiavo i comportamenti, ne ascoltavo le idee e la sera tornavo nella mia stanza e mettevo nero su bianco queste impressioni. Stavo iniziando a sviluppare un pensiero critico riguardo al mondo degli eventi».

Fu in quel periodo che Felice Sorrentino conobbe Giulia, anche lei trasferitasi a Barcellona per intraprendere la carriera di architetto. Felice le parlò dell’idea in una calda e vivace sera d’estate. A Giulia l’idea piacque così tanto che decise di collaborare, conferendo un taglio più tecnico e simmetrico al progetto. Ora Felice Sorrentino aveva ciò che gli mancava: un ulteriore supporto professionale. Sotto il sole d’agosto White Noise Art prese vita.

Una citazione che rappresenta il progetto?

«Uno scrittore francese che visse tra la fine dell’Ottocento e la metà del Novecento, Paul Morand diceva: “Provate a diventare rumore, movimento, e tutto, attorno a voi, apparirà calmo”. Un’inversione di prospettiva: tu diventi la parte rumorosa e il resto la parte calma».

Qual è il pubblico che ti sei immaginato?

«Volevo creare un pubblico differente da quello che si trova in un club, un pubblico attivo culturalmente, fresco e sorridente. Mi sono immaginato un insieme di persone che si potessero confrontare sul tema dell’arte, conoscersi e “contaminarsi” tra loro. Durante la serata è presente il protagonista dell’esposizione che illustra la vision delle sue opere oltre ad un angolo chill-out dove potersi rilassare.

Il dj suona dall’elettronica al deep house, dal funk al jazz, toccando un po’ tutti gli stili non troppo frequenti nei locali a Barcellona, dove invece spopolano la musica minimal e techno».

Vi definite Artlovers, perché?

«Ci sentiamo poliedrici, siamo amanti dell’arte in generale. La musica è un’arte, ma l’arte non è solo musica».

Qual è la cosa che ti piace di più nel tuo lavoro?

«Lo stress. Uno stress costruttivo. L’impegno è continuo, abbiamo iniziato con un evento al mese a settembre ed ora siamo arrivati a sei eventi. Mi piace poter collaborare con questi artisti, non fermarsi solo all’esposizione in sé, ma incoraggiarli a inseguire le loro passioni.

«Ci sentiamo poliedrici, siamo amanti dell’arte in generale. La musica è un’arte, ma l’arte non è solo musica».

Parliamo degli artisti, come li scegli e cosa hanno in comune?

«Sono ragazzi giovani, che amano divertirsi, ma hanno la testa impegnata a livello professionale; magari non hanno avuto la possibilità di farsi conoscere prima ed ora hanno la voglia di crederci insieme a noi. Molti artisti hanno fatto la prima esposizione ad un nostro evento. Ci consideriamo scopritori di talenti. Vogliamo creare delle sinergie positive con gli artisti.

Per quanto riguarda l’artista in sé, ci preme che abbia delle caratteristiche “umane”: rispetto, educazione e umiltà”. Persone vere e sincere nei nostri confronti e in quelli del lavoro».

Qual è il criterio di scelta per le location degli eventi? 

«L’estate passata, girando alla ricerca di ispirazione per il quartiere di Poble Nou, ci siamo imbattuti nella nave culturale Belafonte, un club ricreativo fuori dal caos cittadino; ci piaceva l’arredamento vintage, le luci posizionate in modo inconsueto ma, soprattutto, volevamo realizzare il progetto con una sfida: scegliere una location che portasse il pubblico dal centro alla periferia.

La seconda location, invece, è nei pressi del Palau della Musica, si chiama Studio 74: lì abbiamo organizzato un’esposizione serale con aperitivo dalle 19,00 alle 23,00 in cui era presente l’artista che commentava le sue opere e successivamente partiva il dj set».

Nelle location che ospitano White Noise Art c’è un particolare gioco di luci e colori e un arredamento inusuale, cosa esprimono questi spazi?

«Abbiamo scelto di utilizzare sempre la stessa linea e gli stessi colori: il bianco e il rosso, derivanti dal primo logo White Noise per far sì che non muti l’impatto per lo spettatore. Sul pavimento lasciamo vecchie televisioni che ormai non trasmettono che immagini sfocate sulla frequenza dei grigi. Vogliamo che le persone abbiamo la sensazione di entrare in una dimensione parallela, che si trovino in un ambiente underground diverso. Fidelizziamo il pubblico tramite la location, attraverso l’effetto iniziale e le suggestioni che esso suscita».

«Sul pavimento lasciamo vecchie televisioni che ormai non trasmettono che immagini sfocate sulla frequenza dei grigi. Vogliamo che le persone abbiamo la sensazione di entrare in una dimensione parallela, che si trovino in un ambiente underground diverso».

Quali sono le sensazioni pre e post evento?

«Vogliamo che nel complesso tutto sia impeccabile, coccoliamo gli artisti e trasmettiamo entusiasmo al pubblico. Non puntiamo ad avere un numero esagerato di presenze, puntiamo sulla qualità dell’ambiente creato.

A fine evento torniamo a casa e parliamo di cosa si può migliorare o creare di nuovo. Vogliamo lasciare la massima libertà di espressione all’artista. L’arte è soggettiva e per questo necessita di libertà. Noi organizziamo lo spazio e la modalità di fruizione della mostra, ma poi è l’artista che costruisce il suo percorso».

«Nella nostra epoca tutti pensano di saper fare arte ma spesso si tratta di attività realizzate solo per colpire il pubblico. La passione e il talento vanno prima dimostrati e se stessi. È fondamentale esprimere l’arte, quotidianamente, e in tutto ciò che si fa».

Perché proprio Barcellona? Cosa ti ha ispirato questa città?

«Adoro questa città, il suo modo di vivere e pensare. È una città dall’anima artistica sempre viva e creativa».

Che cosa sono l’arte e la musica oggi e quali sono le difficoltà che un artista può incontrare?

«La parola arte è complicata, mi sembra sia diventato un termine abusato. Nella nostra epoca tutti pensano di saper fare arte, ma spesso si tratta di attività realizzate solo per colpire il pubblico. La passione e il talento vanno prima dimostrati e se stessi. È fondamentale esprimere l’arte, quotidianamente, e in tutto ciò che si fa».

La radio ha ancora un potere mediatico forte, anche adesso che le nostre vite sono popolate dai nuovi social media?

«Ho lavorato in radio nell’ultimo anno e attualmente abbiamo un radio broadcast chiamato ArtFrequencies il primo giovedì di ogni mese su laradio.live con un’intervista a un artista e un dj set. La radio ha ancora un grande potere, ti lascia una certa indipendenza e libertà di pensiero. Nella radio ciò che ti può influenzare è solo la voce, il suono o la musica, non ci sono immagini che possono fuorviarti. Il mondo ormai corre ad un ritmo molto veloce ed io mi sono sicuramente dovuto formare sulle nuove dinamiche digitali: e pensare che fino a poco tempo fa giravo con taccuino e penna.

Facebook sicuramente è un potente mezzo di comunicazione, ma rimane adatto ad una lettura veloce e disinteressata. In pole position metto però il contatto con la persona, invitarla guardandola negli occhi ha un significato fondamentale per me, voglio essere io stesso a raccontare cosa accadrà durante un evento White Noise Art e farmi conoscere per quello che sono nella realtà. Credo che, sebbene la tecnologia abbia portato ad azzerare le tempistiche, per alcune attività occorra più tempo. Ricordo, a tal proposito, una frase geniale di Picasso: “Ci si mette molto tempo per diventare giovani”».

Articolo: Giulia Pallante  Shooting fotografico: Elisa Trusso