Dino Pozzato, Chef & Restaurant Owner, Kuala Lumpur, Malaysia

L’intraprendenza è quella particolare forma di audacia nell’escogitare e tentare nuove imprese. È questa la forza motrice che ha portato Dino Pozzato, allora giovane studente universitario, nei primi anni Novanta a innamorarsi dell’estremo Oriente e a farne la base per le sue scelte di vita.

Ad oggi Dino divide la sua vita e attività lavorativa tra Kuala Lumpur e Vicenza. In Malesia è titolare di due tra i più affermati ristoranti italiani della capitale; nella sua città natale ha rispolverato il piacere di porsi nuovamente dietro ai fornelli nel ruolo di chef del suo ristorante Ananta, inaugurato due anni fa.

Dino, quando e come è maturata l’idea di lasciare l’Italia per trasferirti in Malesia?

Trasferimento non credo sia la parola corretta nel mio caso, preferirei parlare più di una scelta di vita. Fin da ragazzo sono sempre stato molto incuriosito dall’Oriente. Per questo motivo non mancavo di accompagnare oltreoceano i responsabili commerciali dell’azienda di famiglia ogni qualvolta ne capitava l’occasione. Il mio «debutto», se così si può dire, con il Sud-est asiatico risale al 1993, con il mio primo viaggio in Giappone. Poco dopo è stato il turno della Corea del Sud e di altri paesi. Tra questi, la Malesia è stato quello che mi ha colpito maggiormente.

 

Ricordi un momento preciso in cui hai capito che questa passione per il Sud-est asiatico avrebbe potuto trasformarsi in un’opportunità?

Sì, ero all’ultimo anno di economia alla Bocconi e nel 1995, con il programma di scambio Erasmus ancora agli albori, un anno di studio in un’università extraeuropea sembrava un’impresa impossibile. All’epoca, e a ripensarci sembra di parlare di un’era geologica fa, il web aveva appena fatto capolino nelle nostre vite e iniziavano a comparire le prime email. Così presi la decisione di auto organizzarmi lo scambio universitario oltreoceano. Scrissi a tutte le università allora esistenti in Malesia ricevendo, inaspettatamente, due risposte con le proposte di piano di studi. Ho ancora impressa l’immagine del sottoscritto che peregrina tra i corridoi della Bocconi con le risposte ricevute in mano, alla ricerca di tre professori disponibili a convertirmi gli esami una volta tornato in Italia.

Una volta trovati, l’anno successivo partii con destinazione Kuala Lumpur. L’esperienza è stata talmente positiva che, dopo un primo semestre, tornai l’anno successivo per scrivere la tesi.

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Come è stato l’impatto con la realtà malese?

All’epoca del mio periodo universitario la Malesia era ancora in pieno boom economico, giusto un attimo prima della crisi finanziaria che ha colpito il      Sud-est asiatico alla fine degli anni Novanta. In particolare, nella capitale Kuala Lumpur si viveva un fermento palpabile, era una città in profonda trasformazione. Le distese di baraccopoli si stavano trasformando in quartieri residenziali e le famose torri Petronas, oggi simbolo universale della città e della Malesia stessa, non erano ancora state terminate. Kuala Lumpur era ed è ancora oggi una metropoli estremamente accessibile e accogliente. Qui uno straniero riesce a immedesimarsi immediatamente nella vita locale senza le barriere riscontrabili in altri contesti sociali. Probabilmente questa facilità nello stringere rapporti con i malesi deriva dalla totale assenza di barriere culturali e linguistiche. Questo perché nonostante sia un Paese a maggioranza islamica, il credo religioso malese è diverso da quello delle aree del Golfo perché molto contaminato da influenze buddiste e induiste. E in un Paese contraddistinto da diverse etnie non ti puoi permettere di essere intransigente su usi e costumi.

«Kuala Lumpur era ed è ancora oggi una metropoli estremamente accessibile e accogliente. Qui uno straniero riesce a immedesimarsi immediatamente nella vita locale senza le barriere riscontrabili in altri contesti sociali. Probabilmente questa facilità nello stringere rapporti con i malesi deriva dalla totale assenza di barriere culturali e linguistiche».

Quando hai deciso di stabilirti definitivamente a Kuala Lumpur?

Finiti gli studi avevo voglia di iniziare un percorso lavorativo in Malesia. Dopo una serie di colloqui, quasi per caso, è nata la possibilità di lavorare per un consorzio di ristorazione cino-malese. Ho sempre avuto una sorta di fissazione per la cucina: provengo da una famiglia di industriali che non ha mai cucinato in vita propria. A salvarmi da un’alimentazione a base di scatolette, sofficini e surgelati ci ha pensato la tata fino ai miei dodici anni. Dopodiché, al raggiungimento della sua età pensionabile, ci siamo trovati in una situazione che oserei dire “critica”. Quindi, alla tenera età di tredici anni ho iniziato a “spignattare”, inizialmente per una questione di mera sopravvivenza, mia e dei miei genitori.

La mia avventura inizia come responsabile di un ristorante ed enoteca italiana. È stata un’esperienza allo stesso momento traumatica e formativa: la gestione di undici dipendenti e ottanta coperti senza mai avere lavorato prima nella ristorazione e senza nessuna preparazione propedeutica è un compito che non augurerei a nessuno. I miei datori di lavoro avevano dedotto che il fatto di essere italiano e pronunciare correttamente la parola “spaghetti” fosse condizione sufficiente per gestire un ristorante. Ho vissuto le più comuni storie dell’orrore che si possano sentire sul tema: dalla proprietà restia ad acquistare l’attrezzatura indispensabile, al personale impreparato per finire con lo chef alcolista. Ringrazio ancora il mio supervisor tedesco che mi accompagnava di notte a depredare gli altri ristoranti della stessa catena alla ricerca di pentolame indispensabile per andare avanti.

«I miei primi datori di lavoro avevano dedotto che il fatto di essere italiano e pronunciare correttamente la parola “spaghetti” fosse condizione sufficiente per gestire al meglio un ristorante. Ho vissuto le più comuni storie dell’orrore che si possano sentire sul tema: dalla proprietà restia ad acquistare l’attrezzatura indispensabile, al personale impreparato, per finire con lo chef alcolista».

image3-1Decisi di porre fine a quest’avventura mentre, nel giorno di San Valentino, stavo servendo ai tavoli durante un temporale monsonico. Era giunto il momento di dire basta.

 

Quell’esperienza, oltre ad essere stata estremamente formativa, mi ha permesso di conoscere diversi addetti ai lavori, soprattutto miei connazionali. Con alcuni di loro è nata una collaborazione che mi ha portato ad aprire e a gestire in società fino a quattro ristoranti a Kuala Lumpur. Ad oggi ne abbiamo mantenuti due, che mi stanno regalando grandi soddisfazioni: il Giovino e il Sassorosso, entrambi nelle zone centrali della capitale.

In queste due realtà ho assunto più il ruolo di investitore che di chef. Mi sono spostato sulla parte più organizzativa in particolare nell’importazione di vino, bevande ed alcolici dall’Italia.

 

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Immagino che, nonostante il tuo lavoro come chef e titolare di ristoranti italiani, le peculiarità così come i gusti e i sapori della cucina asiatica siano ormai una costante della tua vita e ti influenzino in qualche modo. Quando è nata l’idea di accettare la sfida di aprire un ristorante asiatico in Italia?

Da tempo volevo accettare la sfida di aprire un ristorante asiatico a Vicenza, la mia città Natale. Nel 2013 l’occasione si è concretizzata e abbiamo inaugurato Ananta, che in sanscrito significa «infinito». Si tratta di un ristorante con un menù che copre le aree del Sud-est asiatico, teso ad una selezione dei sapori asiatici per palati occidentali.

Tra i miei stessi clienti c’è un annoso dibattito tra chi preferisce la cucina asiatica originale e chi la sua rivisitazione. Nel mio ristorante trovi sia alcuni piatti della tradizione sia ampi tocchi di sperimentazione.

 

 

Il discorso vale soprattutto per i dolci: non avendo l’Asia alcuna tradizione di pasticceria, abbiamo intrapreso la strada di una rivisitazione dello stile dolciario italiano grazie ad ingredienti che riprendono i sapori asiatici con l’uso del cardamomo, dello zenzero, dell’anice stellato e del latte di cocco.

 

 

Dal punto di osservazione privilegiato come emigrato di lungo periodo, come vedi il futuro prossimo della Malesia?

Credo che la Malesia stia attraversando una fase storica cruciale per un cambiamento. Il Paese è cresciuto per decenni con la formula di un primo ministro autoritario, liberale in economia ma restrittivo soprattutto in termini di libertà di stampa e di opinione. Oggi i social network stanno aggirando i vincoli imposti in passato, e questo credo sia il primo passo per una nuova fase maggiormente libertaria, con i partiti che devono spostarsi da una piattaforma di appartenenza etnica ad una squisitamente politica. Una volta superati condizionamenti e divisioni etniche la Malesia avrà tutte le carte in regola per un ulteriore balzo in avanti.

Dino Pozzato, titolare di due ristoranti italiani in Malesia e chef del ristorante asiatico in stile fusion Ananta a Vicenza, alterna periodi dell’anno a Kuala Lumpur con altri nella sua città d’origine.

Articolo : Mauro Farina
Shooting fotografico: Mauro Farina  e  Susanna Sfilio

Mauro Farina

Founder - Creative Content Manager

Altoatesino di nascita, bolognese nel cuore e veronese d’adozione, vive in simbiosi con la sindrome del bambino di fronte alla vetrina del negozio di giocattoli. Vorrebbe comprare tutto, ma non potendoselo permettere sublima raccontando ciò che divora con gli occhi.