Roberta Giallo, performer teatrale: la versatilità nell’arte

Roberta Giallo è un’artista poliedrica in grado di abbinare arte, recitazione, composizione e canto all’abilità di improvvisazione. Con un amore enorme per la città che l’ha adottata: Bologna.

«Accendo il motore, guardo nello specchietto e vedo riflessa con un po’ di dolore. Bologna col rosso dei muri alle spalle che poco a poco sparisce».
Questa è una storia tutta felsinea: la storia di una giovane artista di talento e dalle grandi speranze che ha trovato a Bologna la culla per far crescere la sua arte e le opportunità. È anche una storia fatta di incontri, quelli preziosi in grado di sancire svolte definitive nella propria vita. Oggi raccontiamo la storia di Roberta Giallo e, sullo sfondo, quella di una città che l’ha accolta tra le sue braccia.

La carriera di Roberta Giallo si contraddistingue per la sua personale elaborazione del concetto di “autoritratto dinamico”, una sorta di composizione musicale estemporanea dove l’immagine e il sonoro sono legati in maniera indissolubile e che, registrati con una webcam, sono resi fruibili al pubblico in formato audio e video nel momento stesso della loro creazione. Abbiamo incontrato Roberta Giallo nella sua casa bolognese, in occasione dell’uscita del suo primo album “L’oscurità di Guillaume”.

Roberta, possiamo definirti come un’artista versatile e a tutto tondo, capace di esprimerti attraverso forme anche non complementari tra loro come il cantautorato, la pittura e la recitazione. Esiste una via artistica nella quale ti riconosci maggiormente o ti esprimi più liberamente?

«Una certa predisposizione creativa è apparsa fin dalla più tenera età. A cinque anni i miei genitori mi portarono a lezione di pianoforte e non ci volle molto per capire quanto fosse evidente il fatto che mi piacesse più creare che eseguire, con una particolare preferenza per poesie e melodie. A undici anni composi la mia prima canzone dal titolo “Please Garçon”.

I primi feedback che ricevetti dai miei insegnanti di canto e di pianoforte mi convinsero di essere una sorta di predestinata al ruolo di autrice e creativa. Volevo con tutte le mie forze fare la cantautrice, ma capii presto quanto questa definizione, nel mio caso, fosse abbastanza approssimativa: potrei definirmi una perfomer teatrale, un’attrice, un’artista visiva.

Avverto una grande urgenza comunicativa e devo soddisfarla per far sì che quello che sono in grado di creare non rimanga fermo e vacuo. Mi piace pensare che la mia vita sia intrisa di creatività senza limiti. Come prime e vere esibizioni ricordo un saggio di piano ed una recita scolastica. Per la recita di canto gli insegnanti scelsero due ragazzini: io, perché brava a cantare, e un ragazzino bello ma stonato. Infastidita dalla sua incapacità presi a forza il microfono e lo monopolizzai. Ho imparato fin da subito a prendermi il palco, per me è lo spazio più bello che esista perché lì sento di avere un senso».

«Avverto una grande urgenza comunicativa e devo soddisfarla per far sì che quello che sono in grado di creare non rimanga fermo e vacuo. Mi piace pensare che la mia vita sia intrisa di creatività senza limiti». ROberta Giallo

E quando hai compreso che la tua carriera stava per decollare?

«La percezione del successo è una cosa molto variabile. Il primo evento che ricordo come importante risale ad una decina di anni fa, quando vinsi un concorso, e questa vittoria mi diede la possibilità di esibirmi di fronte a undicimila persone aprendo il concerto di Sting a Napoli. La serie di interviste e di altri eventi che seguirono mi diede la sensazione di avere tutte le carte in regola per far confluire la mia passione nella mia professione, forte solo delle mie canzoni. L’attenzione che ho ricevuto l’ho voluta cogliere come un segno. Prima di farmi un nome per avere aperto il concerto di una star così famosa avevo già una piccola base di fan che mi seguiva fin dalla nascita del mio profilo su myspace. Paradossalmente non avevo ancora pubblicato nessun album pur essendo un’autrice e cantautrice prolifica.

Il primo vero e proprio album è uscito quest’anno. Era pronto già da tempo ma per una serie di contingenze è maturato solo ora. Faccio parte di una classe di cantautori forse destinata a rifiorire, ma che in questo periodo fatica ad emergere. E poi ho scelto di provare a raggiungere il successo portando avanti quello che credo possa essere giusto per me, ovvero offrire al pubblico ciò che realmente mi ispira rispetto a quello che va per la maggiore oggi».

E dopo questa improvvisa notorietà, come è proseguita la tua carriera?

«A causa di logiche discografiche e rimbalzi di etichette, un disco registrato anni fa è giunto a completa maturazione solo ora. Ho deciso di affidarmi a Mauro Malavasi, incontrato qui a Bologna quasi casualmente. L’album racconta di una storia vera: una storia d’amore tragica con risvolti thriller che è diventata anche spettacolo teatrale con la collaborazione di Lucio Dalla. Lucio era il mentore di questo progetto e la sua prematura e dolorosa scomparsa vi ha posto un freno. Ora sento che il momento è maturo.

La parte teatrale continuerà nel suo sviluppo. Avevo già il progetto fatto e finito, con Mauro ci abbiamo lavorato sei mesi affittando un teatro tutto per noi. Voglio portare questa storia su un palcoscenico, per me la musica è racconto e a me piace dare sempre profondità alle cose».

Da artista poliedrica quale sei, qual è la tua definizione personale di arte? 

«L’arte è la libertà che uno dà a se stesso di indagarla. Se io non mi dessi la libertà di dipingere, recitare e creare musica capace di discostarsi dal canone convenzionale probabilmente mi sentirei solo una mestierante. Se invece penso all’esempio dato da grandi artisti come Lucio Dalla, David Bowie o Renato Zero posso definire l’arte come la libertà di sviluppare i concetti senza paura del giudizio».

In questo percorso tortuoso ti è mai venuto in mente che i tempi non fossero ancora maturi al netto di tutte le difficoltà che stavi incontrando?

«Credo mi sia mancato il coraggio e la determinazione di scegliere da sola. Ho partecipato a svariati concorsi, ne ho vinti diversi e ogni volta i vari produttori discografici, nonostante si dichiarassero attratti dalla mia personalità artistica, cercavano di costruirmi un personaggio a tavolino. Essendo una persona rispettosa e gentile mi è mancata la presa di posizione e ho delegato troppo ad altri la gestione della mia carriera; potessi tornare indietro sarei molto più risoluta.

«L’arte è la libertà che uno dà a se stesso di indagarla. Se io non mi dessi la libertà di dipingere, recitare e creare musica capace di discostarsi dal canone convenzionale probabilmente mi sentirei solo una mestierante. Se invece penso all’esempio dato da grandi artisti come Lucio Dalla, David Bowie o Renato Zero posso definire l’arte come la libertà di sviluppare i concetti senza paura del giudizio». ROberta GIallo

Vi è poi un discorso di maturità che credo di aver raggiunto solo ora. Far uscire un pezzo con un loop accattivante ma incapace di trasmettere alcunché non è difficile. Invece, credo che per raccontare una storia curandone tutti gli aspetti possano trascorrere anche anni di preparazione. Ora i tempi sono finalmente maturi».

Sei molto attiva dal punto di vista social e possiedi una varietà di strumenti per manifestarti nel web. Questi mezzi hanno rivoluzionato il modo di proporsi, anche in campo musicale. Come ti ci rapporti?

«Sì, anche e soprattutto a livello video. Esiste ancora online un video di una mia “irruzione” ad Arte Fiera che mi rappresenta per la mia poliedricità, dove interagisco con un’opera d’arte (ride, ndr.). Una performance talmente sorprendente e inaspettata da venire interrotta dall’intervento della polizia. A distanza di tempo una performer francese ha fatto una cosa simile spogliandosi. Non sono stata cosi estrema, ma posso dire di aver precorso i tempi.

Non mi voglio dare limiti perché credo che la vita sia un’esperienza creativa che merita di essere approfondita. Ho iniziato forse tardi a usare i social network, ma ho compreso subito come fosse un mondo dove poter comunicare senza filtri: basta prendere un telefono, realizzare un video ed esprimere quello che si sente. La differenza sostanziale sta nel valore del contenuto che si trasmette. Io utilizzo questa formula di autoritratti dinamici cantando canzoni improvvisate, senza un vero copione. Per i contenuti che postavo online ho ottenuto fin da subito buoni riscontri, il mio pubblico mi seguiva con interesse e curiosità e questo mi ha dato lo stimolo per creare un vero e proprio percorso che avesse un senso. Tante delle interviste e collaborazioni sono nate perché sono stata notata sul web. Credo che i social network siano un modo per confrontarsi con il pubblico e che aiuti a tessere delle relazioni; il mezzo di per sé non è né buono né cattivo, ma è determinante l’utilizzo che se ne fa e, se usato bene, può dare grandissimi risultati».

Bologna è la città che ti ha adottato e dato la possibilità di conoscere chi ti ha aiutato. 

«Sono innamorata di Bologna, che è la città che mi sono scelta e che mi ha scelto. Mi piace il fatto che sia un po’ magica e sia in grado di accogliere le differenze, ha un suo temperamento preciso ma non evidente, per questo tutto ciò che arriva qui può diventare bolognese. E poi sono legata a Bologna per tutti gli incontri che qui hanno segnato il mio destino: Lucio Dalla, Mauro Malavasi e Samuele Bersani. Il fatto che non sia una metropoli permette di non disperdere le persone importanti e di incontrarle di nuovo: questo facilita l’umanità del rapporto.

Inoltre Bologna è diventata anche il posto dove posso dire la mia dal punto di vista artistico. A questa città posso dire solo grazie».

Articolo: Mauro Farina  Shooting fotografico: Stefano Tambalo

Mauro Farina

Founder - Creative Content Manager

Altoatesino di nascita, bolognese nel cuore e veronese d’adozione, vive in simbiosi con la sindrome del bambino di fronte alla vetrina del negozio di giocattoli. Vorrebbe comprare tutto, ma non potendoselo permettere sublima raccontando ciò che divora con gli occhi.