Ilaria Magliocchetti Lombi, fotografa: uscire dalla zona di comfort

Ilaria Magliocchetti Lombi copertina

Ilaria Magliocchetti Lombi è una fotografa che ha iniziato la sua carriera addossata alle transenne dei concerti per immortalare le band. L’abbiamo incontrata per farci raccontare l’evoluzione di quelle lunghe serate a bordo palco.

C’è che devi buttarti e andare là, dove hai la curiosità. Devi scoprire, fare rumore, dimostrare a te e agli altri quello che sai fare. La vita non è fatta per rimuginare sogni, né per vedersela passare davanti.

Perciò parti. Porta con te quella fame di sapere e un po’ di coraggio, e ricorda di mettere sempre un po’ di te in tutto ciò che fai, perché anche se cammini, ma non sai la meta, ci penserà il tempo a saldare insieme i pezzi. Quando alla fine ti guarderai indietro e vedrai tutta la strada percorsa, capirai che a vivere stando fermi, in fondo, non si vive mai.

Quartiere Parione.

In un sabato di fine marzo, dopo giorni di pioggia, il sole splende caldo nel cielo. Si insinua fra le vie acciottolate, dipinge le facciate degli alti edifici, li illumina.
È la Roma dei colori pittoreschi, quella che sa vivere di una tinta indefinita. Una città ammantata di rosa, di arancione, di rosso, coperta di edera che dai terrazzi scende giù fino a terra. Roma profuma d’antico che si mischia col nuovo e nei bar, nei locali, al mercato, l’aria è sonnolenta ancora a tarda mattina. La gente cammina in un sommesso rumorio di vita.
Tra Campo dei Fiori e Piazza Navona, in un vicolo largo poco meno tre metri, trovo un grosso portone in legno scuro e un quadro di campanelli alla sua destra.
Suono il secondo a partire dal basso.
Al citofono, la voce di Ilaria Magliocchetti Lombi anticipa l’apertura dello scrocco. È il palazzo della sua infanzia, è il palazzo dove è nata e cresciuta e dove da nove anni è tornata a vivere.
Salgo le due rampe che mi dividono dall’appartamento. Poi, affacciata all’uscio di casa, trovo lei, i suoi occhi chiarissimi mi accolgono, è Ilaria.
Tutto lì dentro sembra raccontarsi da sé: i soffitti alti, la scrivania, un’agenda aperta di fianco al computer, alcuni post-it attaccati al muro. C’è la foto di sua madre in una nicchia lungo il corridoio e una cartina geografica, in cucina, appesa a piena parete.
Ci mettiamo sedute al tavolo.
Chissà chi sarebbe diventata Ilaria Magliocchetti Lombi se non avesse fatto la fotografa?
«Il bello è che non ti so rispondere. Probabilmente mi sarei inventata qualcosa per poter viaggiare il più possibile. Viaggiare è l’unica cosa più importante della fotografia e ogni tanto mi manca».
Scoprire, conoscere posti diversi e lontani dal suo è una cosa che del resto le hanno insegnato in famiglia. India, Cina, Tibet sono stati terreni fertili, sfumature di un mondo in cui Ilaria Magliocchetti Lombi ha potuto immergersi e lasciarsi affascinare fin da quando era bambina. «Chiaro che avere un mezzo, una macchina fotografica in quella circostanza può essere più interessante, più stimolante che fare le foto a Natale. Quindi i primi ricordi che ho sono legati sicuramente a questi viaggi che mi hanno avvicinato molto alla fotografia. Senza scordare però una fidanzatina di mio fratello: in occasione di un compleanno mi regalò una fotocamera compatta a pellicola e da lì iniziai a fotografare in primo luogo gli amici, come per tenere una sorta di diario».

 

 

A diciassette anni Ilaria Magliocchetti Lombi eredita finalmente la reflex del padre e comincia a scattare più seriamente, a diciannove frequenta un corso serale di camera oscura, ne monta una nel bagno di casa e quasi inconsciamente affianca la fotografia all’altra sua grande passione, la musica. Va ai concerti dei gruppi che le piacciono, affronta ore e ore di fila pur di raggiungere le transenne e poterli riprendere più vicino che può. A fine serata, quando tutti se ne vanno, Ilaria resta. Prende i contatti delle band, invia loro le foto con la speranza che la richiamino, anche solo per il backstage successivo.

Ricorda che tra i primi ad aver investito su di lei ci furono i Julie’s Haircut, un gruppo di Reggio Emilia che aveva fotografato dal vivo al circolo degli artisti.

 

«Si può dire che a quel tempo nemmeno la studiavo la fotografia, però gli scatti di quel concerto erano piaciuti e loro mi chiesero di occuparmi delle foto promozionali. È stato uno dei primi lavori che in quel piccolo mondo, della musica indipendente italiana dove sono cresciuta, ha contribuito a farmi continuare su quella strada. Le mie foto avevano iniziato a uscire anche su Rumore, Rockerilla, magazine musicali storici tra gli appassionati. Ricordo che una di quelle finì pure in copertina e per me fu un vero colpo al cuore: era la mia primissima copertina».

«Barcellona è la città a cui devo buona parte di ciò che sono oggi. È il luogo in cui desideravo andare, dove avevo degli amici e per me rappresentava l’opposto della situazione in cui vivevo». Ilaria Magliocchetti Lombi

Da quel momento Ilaria capisce di voler investire le sue energie per poter continuare a scattare, per vivere di click, di momenti impressi e talvolta rubati, di visi che resistono al tempo. È il 2005, ha solo vent’anni ma tanta volontà di migliorarsi. Per farlo, però, decide di spostarsi a Barcellona.
È lì che sceglie di dare un’impronta ancora più netta al suo stile fotografico; per quattro anni sperimenta, sbaglia, riprova, impara.
«Barcellona è la città a cui devo buona parte di ciò che sono oggi. È il luogo in cui desideravo andare, dove avevo degli amici e per me rappresentava l’opposto della situazione in cui vivevo. Barcellona per me era la fantasia, la creatività, la libertà, il posto sveglio dove succedevano le cose, dove la gente era meno formale e meno borghese, li ho trovato tante realtà che mi hanno fatto bene. E poi i colori… io di quella città ricordo i colori».
Io e Ilaria ci alziamo. Decidiamo di salire sul soppalco di casa dove, come in una specie di pellicola frammentata, tiene tutte le sue stampe. Le chiedo di sceglierne tre che rappresentino il suo percorso, tre immagini che parlino di lei.

Ilaria ride, ci deve pensare.

«Una foto che è stata un punto di svolta per la mia carriera l’ho scattata a Barcellona, durante l’occupazione di una grossa fabbrica, Can Ricart, nella zona di Glòries. Era in corso l’occupazione di questo posto perché lo volevano abbattere e all’interno del collettivo ho fatto una foto a due bambini molto piccoli vestiti da pagliaccetti. In tutta quella condizione assurda di distruzione c’erano loro che giocavano contro un muro su cui campeggiava una scritta gigante, in catalano. Diceva STOP ESPECULACIÓ, che in italiano si traduce in “basta alla speculazione”: è stata la prima foto in cui mi sono sentita veramente soddisfatta di ciò che avevo immortalato».
Ilaria sfoglia ancora, prende tra le mani la stampa con l’istantanea degli Zen Circus, l’immagine commissionata per la copertina del loro disco.

«Questo è stato il primo lavoro importante di musica che ho fatto, nonché uno dei primi per “il Mucchio Selvaggio”, la rivista storica di musica italiana. Era il 2009, vivevo ancora a Barcellona, ma ero in procinto di tornare a Roma. Questa foto rappresenta per me una sorta di nuovo inizio, perché serviva per la copertina di un disco e serviva a una band già molto conosciuta».
Ilaria lascia scorrere un’altra decina di immagini poi, per ultima, mi indica la foto che ritrae Niccolò Ammaniti.

«Tendo ancora ad essere molto veloce, mi prendo meno tempo di quello che potrei prendermi. È vero che ho a disposizione una soglia di attenzione che non è infinita, ma vorrei essere fotograficamente un pochino più egoista, avere meno scrupolo se voglio portare il soggetto in una direzione che magari lo fa uscire dalla sua zona di comfort. Invece spesso mi faccio prendere dal flusso degli eventi». Ilaria Magliocchetti Lombi

«Il primo lavoro per Rolling Stone. Ovviamente ero nervosissima, in primis perché era la prima volta che lavoravo per la rivista per cui avevo sempre sognato di scattare e poi perché lui era un personaggio infinitamente timido. È stato un lavoro molto faticoso, indubbiamente bello, ma ricordo quelle foto come una prima piccola impresa».
A vederli da fuori, tutti quei ritratti messi insieme sembrano svelare ciascuno un tratto di umanità, un gesto, un’espressione, qualcosa che tenti di cogliere ogni personaggio in un momento inusuale, riservato, quasi intimo.
Ilaria Magliocchetti Lombi le guarda con una strana soddisfazione negli occhi. Provo allora a prenderla di sorpresa e le chiedo se ha una critica da muovere a se stessa.
Lei sorride, lo sa. «Tendo ancora a essere molto veloce, mi prendo meno tempo di quello che potrei prendermi. È vero che ho a disposizione una soglia di attenzione che non è infinita, ma vorrei essere fotograficamente un pochino più egoista, avere meno scrupolo se voglio portare il soggetto in una direzione che magari lo fa uscire dalla sua zona di comfort. Invece spesso mi faccio prendere dal flusso degli eventi.

 

Mi rendo conto di vivere la sessione fotografica come qualcosa in divenire con il soggetto e magari parto con l’idea di procedere in una direzione per poi finire da tutt’altra parte, per certi versi può essere una cosa bella, per certe foto funziona, altre volte mi pone un limite su dove posso eventualmente arrivare».

Articolo: Francesca Tessari   Shooting fotografico: Cristiano Casciani