Erica Mou, cantautrice: il vuoto interiore che cerco di riempire

Erica Mou, copertina

Erica Musci, in arte Erica Mou, è una giovane e innovativa cantautrice pugliese che dal 2008 ad oggi ha saputo conquistare il pubblico con il suo stile unico.  

Erica Mou scrive e canta la propria vita, i sogni e le esperienze in cui, chiunque l’ascolti, riesce a ritrovare un po’ di sé. Incontro Erica Mou nella sua casa di Roma, dove mi accoglie con grande ospitalità mostrando una naturale simpatia e umorismo che mi fanno sentire a mio agio. «Vivo in questo quartiere» dice «più per casualità che per una scelta mirata. Le mie zone di interesse sono altre e forse più avanti mi sposterò o addirittura andrò all’estero».


Nello studio di Erica Mou ci sono gli appunti delle canzoni che ha già scritto e stralci delle nuove ancora in lavorazione. Si coglie un’atmosfera di ordinata confusione, come le idee che girano nella mente dell’artista prima di essere realizzate.
Mentre solleva la chitarra acustica dalla sua custodia, seduta sul divano, mi racconta che i suoi primi testi risalgono a quando aveva 7 anni, scritti insieme ad un’amica. Ma solo dopo aver iniziato a comporre musica ha potuto dar vita alle sue prime creazioni complete. Inizia a suonare qualche accordo del nuovo singolo “Roma Era Vuota”, tratto dall’ultimo album “Bandiera Sulla Luna“. «Tra le mie primissime influenze musicali c’è mia nonna Lina, che mi ha permesso di conoscere un repertorio italiano senza tempo».  Mi sorride mentre ripone la chitarra al suo posto. Così decidiamo di uscire e continuare la nostra chiacchierata tra le strade di quella Roma ormai non più vuota.
«Il nuovo singolo è uscito il 23 marzo. La canzone scelta nasce da un sogno che ho fatto. Sono una fan dei sogni, per me somigliano molto alle canzoni. Tante volte capita che, parlando anche con i miei colleghi, ci si accorga di quanto tempo passi prima di aver capito una cosa che noi stessi abbiamo scritto. Quando si scrive una canzone non si fa propriamente una profezia, ma si lasciano andare delle cose che si hanno dentro, tenute nascoste fino a quel momento. Nel mio caso, sento come se guardassi in modo più diretto al futuro. Per me i sogni sono la stessa cosa. Nel sogno sei capace di dire cose che nella realtà non hai ancora potuto raccontare, di trarne ispirazione. Ho avuto illuminazioni su quello che avevo scritto nel disco precedente “Tienimi il posto” solo mentre stavo finendo quest’ultimo album. Mi capita che quando le rileggo penso “ho detto una cosa brutta, cattiva, su di me”. La canzone ti porta ad avere un rapporto più diretto con i tuoi pensieri, più del parlarne razionalmente con la gente. Nel singolo “Ho scelto te” dico: “perché mi hai scelto e la tua scelta mi sembrava coraggio”. È una frase forte, in cui io stessa non ne esco vincitrice. In quel momento ero molto sensibile ed ho potuto capire ed assimilare il valore di questa frase solo un anno e mezzo dopo.

 

«La canzone ti porta ad avere un rapporto più diretto con i tuoi pensieri, più del parlarne razionalmente con la gente. Nel singolo “Ho scelto te” dico: “Perché mi hai scelto e la tua scelta mi sembrava coraggio”. È una frase forte, in cui io stessa non ne esco vincitrice». Erica Mou

“Roma era vuota” parte da un sogno ed è la descrizione di una storia d’amore che finisce sullo sfondo di questa città. Credo che una Roma vuota possa essere un po’ il sogno di tutti.

Chiunque frequenti Roma conosce bene quella sensazione di considerare tutti gli altri come degli intrusi anche se poi ognuno di noi è un invasore di questa città. Ho voluto immaginare una Roma deserta in cui si può parlare senza il caos intorno, vivere un momento senza distrazioni, quella capacità di riuscire ad andare dritti al punto. In questa storia d’amore il punto di arrivo è che loro un giorno si ritroveranno, ma questo non è ancora il momento per stare insieme.


La “Roma vuota” in realtà altro non è che una metafora. Penso che spesso si tenda ad associare la necessità di un cambiamento al luogo in cui si vive. Nel mio caso ho pensato spesso che Roma mi avrebbe salvata, oppure che partire per Londra potrà aiutarmi a fare meglio, così come mi dico che tornando a Bisceglie riuscirei a ritrovare me stessa. Cantando di una Roma vuota in realtà racconto di un vuoto interiore che cerco di riempire. Quasi tutti i miei testi si riferiscono a momenti veri della mia vita. Parlano di me. Ma ce ne sono altri come “Irrequieti” o “Ragazze posate” che invece parlano al plurale, parlano di me e del mio gruppo di amici».

 Ti abbiamo visto in diretta su Sanremo Republic. Come ti sei trovata? 

«Mi ci sono trovata benissimo, grazie anche all’ottima compagnia di Ernesto Assante e Max Giusti. Durante le dirette ho avuto modo sviluppare la mia parte da musicista e ho potuto suonare le canzoni di Sanremo del passato. Io vengo da li, dalla canzone italiana degli anni ’60. Canzoni forse démodé, adesso, ma che io trovo fantastiche. Poi ho potuto mostrare la parte più “insensata” che ho dentro. Quella che non esprimo quando scrivo le mie canzoni, ma che invece mostro durante i live tra una canzone e l’altra. Quando mi sto divertendo o rilassando».

Hai una personalità artistica decisamente estrosa. Ho notato come per te non sia stato così difficile passare dal songwriting al palco di Sanremo e poi alla diretta in streaming. 

«Sanremo Republic è stato un angolo di paradiso. Se fosse sempre così, la TV, le vere personalità di tutti salterebbero fuori. Avevamo un’ora di programma, ci dicevano “VAI” e noi improvvisavamo. Proprio come la televisione di un tempo o il Web di oggi. La tv moderna, invece, è così chiusa in se stessa e non riesci a venirne fuori. Pensi solo a un contatore alla rovescia che lascia pochi secondi per esprimere un pensiero che alla fine di tutto resta vago.  Mentre nel programma live hai la possibilità di sentirti libero di esprimerti, qualcosa di cui adesso abbiamo proprio bisogno. Credo che ci siamo un po’ stancati di un certo tipo di costruzione. Sento che stiamo vivendo in un periodo di demolizione a livello sociale, ed è quindi possibile trovare un canale di comunicazione attraverso la musica e l’arte in generale, che sono la voce e l’espressione del sociale».

Come vivi da artista questa esposizione della vita pubblica sui social media e il contestuale isolamento al livello umano che ne può derivare? 

«Credo in realtà che i social media possano avvicinare l’artista al pubblico, più che allontanarlo: è un buon modo per coltivare insieme ai fan la crescita di un rapporto. Ti dà modo di condividere qualcosa di più rispetto a quello che tu solo hai vissuto. Se si ha la possibilità di accedere a contenuti che vanno oltre la propria esperienza personale, si ha l’opportunità di crescere insieme all’artista.

Anche solo scrivendo un post in cui racconto che sto lavorando su un nuovo pezzo, permetto a chi mi segue di entrare nella mia vita. Come fan di alcuni artisti mi piace poter restare in contatto con loro. È ovvio che bisogna saper utilizzare i social in modo appropriato. Essendo io una musicista, i miei social devono riguardare la musica, in una foto devo poter raccontare quello che sto facendo senza perdere di vista il perché lo sto comunicando.

Il che non significa solo annunciare che sta uscendo il mio nuovo disco, perché un artista ha tante cose dentro e per me è andare oltre, raccontando una storia personale che si collega al mio modo di pensare e di scrivere. Invece, dal punto di vista della performance credo che abbia rovinato la magia. Prima era bello pensare che in quel dato momento c’eravamo solo noi, in quella stanza, per quelle dieci persone.

Ora non è più così e ci si mette addosso una sorta di inutile ansia da prestazione. Con l’utilizzo dei social, qualunque cosa tu stia facendo è potenzialmente fruibile da un pubblico infinito. Invece l’esclusività di stare in una situazione per pochi è una cosa preziosa.

A livello di live, credo che l’emozione di un concerto sia qualcosa di irripetibile. Il social non può spostare l’attenzione di chi va ad un concerto. Chi decide di prendere il cappotto, uscire di casa e pagare un biglietto è un altro tipo di essere umano che ha dentro di sé la voglia di seguire l’artista. Poi c’è un’altra fetta composta dai curiosi che probabilmente non erano fan e forse lo saranno dopo».

In quest’ultimo album sono palesi alcuni cambiamenti, dovuti probabilmente alle tue influenze musicali più recenti. Che passaggio c’è stato dal tuo primo album a “Bandiere sulla luna”?

«In quest’ultimo album ci sono canzoni che sono figlie del passato. C’è una canzone, “Arriverà l’Inverno”, che ho iniziato a scrivere dopo aver ascoltato la performance di Patty Smith ai Nobel del 2016, quando presenziò al posto di Bob Dylan. Vedere quel video mi ha ispirato per le emozioni che mi ha dato. L’ho sentita come una performance pulita e allo stesso tempo sporca, elegante ed intensa. Insomma, completa. Così nel mio piccolo ho deciso di scrivere questa canzone, un “chitarra e voce” accompagnati dalla fisarmonica che fa da vento, molto leggera.

«Probabilmente Londra sarà la mia prossima meta. Vorrei migliorare la lingua e sviluppare nuovi metodi di lavoro e, perché no, iniziare a scrivere anche testi in inglese. Una sfida che accetterei volentieri». Erica Mou

Poi ci sono quei pezzi che hanno dentro tutt’altro, come “Svuoto i cassetti”. Per arrangiarla sono andata a riascoltare i pezzi hip hop degli anni ’90. C’è dentro un po’ di Julio – Gangsta’s Paradise e 50Cents. Ci sono altri pezzi arrangiati con archi con l’orchestra come nello stile tipico della musica italiana e c’è la canzone “Al Freddo”, figlia di Alanis Morissette. Sono passata dal Rock all’Hip Hop lasciandomi ispirare soprattutto da quello che ho dentro».

Il tuo 2018 è iniziato con grande entusiasmo: Sanremo, il nuovo singolo accompagnato dal videoclip, le date del tuo tour. Cosa si prospetta nel futuro di Erica Mou? 

«Sono sempre alla ricerca di nuovi stimoli e di nuove fonti di ispirazione. Già da un po’ di tempo ho preso in considerazione l’idea di viaggiare, di passare un periodo all’estero. Un modo per osservare, scoprire di persona quelle realtà artistiche che si muovono oltre confine.

Probabilmente Londra sarà la mia prossima meta. Vorrei migliorare la lingua e sviluppare nuovi metodi di lavoro e, perché no, iniziare a scrivere anche testi in inglese. Una sfida che accetterei volentieri».

Articolo: Fabrizio Vernice   Shooting fotografico: Barbara Rigon