Florencia Di Stefano, Singer & Digital Marketing Manager, Verona, Italy

Ho conosciuto Florencia Di Stefano un anno fa e, da allora, l’ho incontrata solo tre volte. Ognuna di queste volte, aveva i capelli di colore diverso. Prima lilla, poi rame e infine bionda. Se i capelli variavano, però, c’era qualcosa che ho constatato rimanere sempre uguale: l’aura di energia e positività che emanava. Florencia Di Stefano fa senza dubbio parte di quella preziosa categoria di persone in grado di contagiare gli altri con la propria carica e il proprio entusiasmo: dote che l’ha portata a calcare palchi di tutta Italia con la sua passione per la musica, ma anche a tenere workshop per Adidas Originals e a dirigere un team di persone in una multinazionale.

Classe 1988, di origini argentine, Florencia ha alle spalle numerose svolte e cambiamenti, non solo in campo estetico: a soli 27 anni è già stata Web Communication Manager di Calzedonia, Digital Marketing & Communication Manager di Franklin & Marshall e da poche settimane ha aggiunto al suo già considerevole curriculum la posizione di Global Online Communication Manager di Swarovski International.

Due lauree, un master online, il passaggio dall’iniziale percorso di interpretariato a quello di comunicazione e marketing, Florencia non sta mai ferma e si nota anche da quanto gesticola mentre parla, sempre con un sorriso disarmante sulle labbra, come se volassero unicorni per la stanza e li vedesse solo lei.

Insomma, Florencia, il cambiamento pare essere il fil rouge della tua vita, o sbaglio?

No, non sbagli. Amo il cambiamento, il dinamismo, l’essere sempre in movimento e il non accontentarsi mai. Non mi piace adagiarmi, sento sempre il bisogno di fare qualcosa in più. La mia vita è stata segnata in più punti da grandi decisioni che hanno portato a grandi cambiamenti, sia sul piano personale che professionale. Paradossalmente si può dire che il cambiamento sia una delle costanti della mia vita, insieme alla musica e alla voglia di esprimermi e comunicare al mondo, sempre e comunque.

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«Non mi piace adagiarmi, sento sempre il bisogno di fare qualcosa in più. La mia vita è stata segnata in più punti da grandi decisioni che hanno portato a grandi cambiamenti, sia sul piano personale che professionale».

E come, ad esempio?

Prima di tutto col mio lavoro. Lavoro nella comunicazione da quando avevo 20 anni, vivo in mezzo ai social e ho una solida presenza online che curo con passione e divertimento, anche perché credo fortemente in quello che faccio. Ogni singolo snap, tweet o post su Facebook o Linkedin contribuisce a creare il mio personal branding e la credibilità che sul lavoro e nel contesto in cui vivo sono necessari.

Sei giovanissima, eppure hai alle spalle un curriculum con posizioni di grande responsabilità. Hai mai dovuto lottare contro pregiudizi su età e capelli colorati?

Certo che sì. Però col tempo ho capito che il mio curriculum parla da solo, quindi di solito lascio agire quello. Capita però, tutt’ora, che trovandomi davanti a persone più grandi di me, il pregiudizio sulla mia giovane età e – ogni tanto – sulla mia eccentricità, dia vita a un’iniziale mancanza di fiducia, che però fortunatamente si sistema da sola una volta che inizia l’interazione professionale vera e propria. Queste situazioni mi hanno messo addosso la voglia di dimostrare qualcosa, mi hanno sempre spronata a fare meglio. Oltre all’età, spesso ha giocato un ruolo anche l’essere donna: è capitato spesso di trovarmi davanti a interlocutori che lasciavano trasparire il fatto che avrebbero preferito interagire con un uomo, o – se proprio – avrebbero preferito una donna più anziana. Sempre e comunque ho avuto modo di mettere a tacere i pregiudizi con l’oggettiva preparazione: se dimostri rispetto, umiltà e competenza, nessuno avrà mai modo di ribattere e buttarti giù.

florencia_di_stefano-0381Tornando al tuo modo di comunicare te stessa al mondo, dicevamo: l’altra tua passione è la musica.

Esattamente. Canto da quando ero ragazzina. Ho iniziato quasi per scherzo con il mio ragazzo del liceo a un evento di beneficienza: un po’ come succede ora, ci hanno registrati e ci hanno messi su Youtube. Quel video è stato visto da Massimo Fiorio, bassista dei Canadians, band indie di cui ero grande fan e che ho avuto modo di conoscere personalmente: è stato lui a propormi di cantare per loro. Dopo una serie di eventi, quindi, mi sono trovata al Mono Studio di Milano per registrare insieme a loro dei pezzi di prova. Abbiamo registrato un EP, da cui poi sono nati i Lava Lava Love – formati da me, Oliviero Farneti, Vittorio Pozzato e Massimo Fiorio. Dopo il primo, abbiamo inciso altri due dischi e girato l’Italia in tour: ero travolta dall’esperienza, che cercavo di conciliare con lo studio, ma che ovviamente richiedeva molto tempo e impegno: eravamo persino seguiti da un ufficio stampa professionale! Avevamo avuto parecchio consenso, anche grazie ai social media, con notevoli riconoscimenti come MTV, Rolling Stone Magazine, Radio2 ecc. Devo dire che è stato uno dei periodi più gratificanti della mia vita.

Il gruppo però si è sciolto nel 2013: cos’era cambiato? Non ti sarebbe piaciuta una carriera musicale?

Certamente! La carriera musicale è qualcosa a cui ho effettivamente pensato, ma che non ho mai perseguito per alcune ragioni: prima fra tutte quella economica. Non potevo permettermi di non lavorare per un lungo periodo nella speranza di arrivare a un livello tale che mi permettesse di vivere di musica. In più, sicuramente ha contribuito il fatto che facessi parte di una band di persone più grandi di me e con vite già costruite, mentre io stavo ancora studiando. Quindi, sì, anche se la voglia c’era, la mia parte razionale mi ha convinta che non era il caso. Le scelte di vita le ho sempre ragionate molto, nonostante sia una persona impulsiva. La musica resta un hobby piacevole e costruttivo, ma oltre quello non me la sento di andare. In più, ho investito talmente tanto tempo ed energia in quello che ho studiato, che non me la sarei mai sentita di “buttare al vento” tutto questo. Ho due lauree e un master, quindi ho scelto di far fruttare questo investimento e di impegnarmi a fare carriera in altri ambiti.

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«Le scelte di vita le ho sempre ragionate molto, nonostante sia una persona impulsiva. ho investito talmente tanto tempo ed energia in quello che ho studiato, che non me la sarei mai sentita di buttare al vento tutto questo».

E a giudicare dal tuo curriculum direi che è stato un investimento ben riuscito.

Verissimo! Ho cominciato in Fondazione Arena, prima come maschera, poi nel web department in cui seguivo i contenuti del sito in più lingue. Successivamente, sono giunta in Calzedonia: un’esperienza impagabile. Mi sono trovata a soli 23 anni a gestire la comunicazione web di una multinazionale con un fatturato di quasi 2 miliardi di euro, che però non aveva alcuna presenza web. Avevo, quindi, una tela bianca su cui scrivere e costruire la reputation del brand: forse anche grazie all’incoscienza tipica dell’età che avevo, mi sono lanciata di peso nella missione. Avevo di fronte una responsabilità gigante, seguivo progetti e campagne di product placement, spesso con budget molto alti. Una volta mi sono trovata alle Canarie, unica rappresentante dell’azienda, a seguire e dirigere una troupe di 50 persone che dipendeva interamente da me.

florencia_di_stefano-0447 Tutto ciò è stato incredibilmente stressante, ma trovandomici nel mezzo ho potuto crescere professionalmente e imparare in soli tre anni quello che probabilmente in un’altra azienda avrei imparato e compiuto in quindici anni.

E la tua esperienza in Franklin & Marshall?

In F&M facevo più o meno le stesse cose che facevo in Calzedonia, ma in più avevo un team di 5 persone da coordinare: ho imparato cosa significasse avere la mia età e trovarmi a gestire una squadra. Non è stato facile, ti assicuro. Rispetto all’esperienza precedente avevo parecchia libertà creativa in più, cosa che mi ha permesso di esprimere molte cose in più, nonché di coniugare al lavoro l’altra mia passione, la moda. Una delle massime soddisfazioni della mia vita è stata la partnership con Elio e le Storie Tese: ho curato in toto la collaborazione con il gruppo, dalla burocrazia alle PR, dai canali di vendita fino alla decisione dei colori delle magliette. Mi sono goduta di pancia l’esperienza, è stata infinitamente divertente. Farla con Elio, poi, è stato come essere a casa.

Volevo arrivare esattamente qui, infatti. So che Elio e le Storie Tese per te sono quasi una seconda famiglia. Ci racconti perché?

Ho visto Elio e le Storie Tese per la prima volta a 8 anni nel 1996 a Sanremo, lo ricordo ancora come fosse ieri. Ero rimasta folgorata dalla loro presenza scenica e dalla loro creatività, ma nessuno intorno a me pareva apprezzarla come facevo io, tant’è che a 14 anni andai da sola a un loro concerto perché nessuno voleva venire con me. Sono diventata subito una loro super fan e mi sono iscritta a un forum in cui si riuniva una community di sfegatati come me. Ho iniziato a girare l’Italia con la gente conosciuta sul forum: In due estati credo di aver assistito a più di 30 concerti. Il gruppo mi conosceva per nome, ormai. A uno di questi, nel backstage ricordo di aver parlato con Cesareo, il chitarrista, che mi ha chiesto come mai non fossi su MySpace: la mia risposta è stata «io quelle cose non le uso, sono tutte stupidate», ma alla fine mi sono lasciata convincere e ho creato il profilo. Penso di poter dire che quello sia stato l’inizio della fine: per colpa sua ho capito di essere destinata a crescere come una Social Queen! Era la prima piattaforma che scoprivo, che per di più univa l’aspetto social a quello musicale, dando la possibilità addirittura di entrare in contatto con band che altrimenti sarebbero state irraggiungibili. Un sogno. A Rocco Tanica, invece, devo l’amore profondo per la musica, per la lingua italiana, la grammatica ineccepibile, il linguaggio forbito. A quel gruppo devo in gran parte quello che sono.

Parlando invece della tua vera famiglia, che ruolo hanno nella tua vita?

Devo alla mia famiglia praticamente tutto ciò che ho. I miei genitori sono venuti in Italia quando avevo solo tre anni, mio fratello non era nemmeno nato. Hanno fatto sacrifici e rinunce, senza mai negarci nulla e permettendoci di crescere e diventare quelli che volevamo essere. Ho un rapporto meraviglioso con loro: sono amici, sì, ma sono sempre stati la mia guida e il mio punto di riferimento. La famiglia è l’unica cosa, secondo me, che è in grado di farci mettere in discussione per davvero le nostre scelte di vita: accettare il nuovo lavoro ad Innsbruck per me non è stato facile sapendo di dovermi allontanare da loro, ma in fin dei conti mi hanno spronato anche loro per primi.florencia_di_stefano-0542 Papà Eduardo si è già prenotato per venire su tutti i weekend, ma io continuerò a fare la spola con Verona e Pescantina, anche perché sono troppo legata al Fabfour, dove ci troviamo ora, e non vorrei abbandonarne la gestione.

A proposito di questo, raccontaci cos’è il FabFour Music Point e come è nato questo posto.

Mio padre Eduardo dopo quindici anni nella ristorazione ha lasciato il lavoro e ha deciso di aprire una sala prove. Ha trovato l’ambiente adatto e con molto lavoro è riuscito a recuperare il luogo e a dedicarsi full time alla gestione del FabFour. Forse si intuisce dallo stile, che abbiamo volutamente mantenuto per non snaturarlo, ma il FabFour è un’ex autofficina degli anni ’80 caduta in disuso.

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L’abbiamo trasformata in un open space con diverse sale prove, uno studio di registrazione, una sala per le riprese video che abbiamo messo a disposizione di un videomaker freelance. In più, teniamo dei corsi di musica: insomma, per noi il FabFour doveva diventare un luogo che permettesse a musicisti e artisti di esprimersi. Volevamo creare un punto d’incontro, un posto che permettesse alle famiglie di dare ai figli un’educazione musicale nonostante un periodo che sappiamo essere non economicamente tranquillo.

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«FabFour è un’ex autofficina degli anni ’80 caduta in disuso. L’abbiamo trasformata in un open space con diverse sale prove, uno studio di registrazione e una sala per le riprese video. per noi il FabFour doveva diventare un luogo che permettesse a musicisti e artisti di esprimersi. Volevamo creare un punto d’incontro, un posto che permettesse alle famiglie di dare ai figli un’educazione musicale».

Papà segue quindi la gestione dei corsi e delle sale, mio fratello Matias segue la parte degli studi di registrazione. Matias ha solo 19 anni ma è un fonico con grande esperienza. Io – per quanto mi permette il lavoro – seguo la parte di comunicazione social e PR, e quando posso organizzo eventi e workshop.

Questo posto sembra uscito da una rivista di design, quindi sorge spontanea la domanda: come lo avete arredato e chi ha preso le decisioni in merito?

Abbiamo fatto tutto noi: mio padre Eduardo si è improvvisato tuttofare e ha curato la maggior parte dei lavori. Il tema – com’è facilmente intuibile anche dal nome stesso – sono i Beatles e la cultura british degli anni ’60. In studio tutto è riciclato, ecofriendly ed ecosostenibile. Pensa che il banco di registrazione è fatto di pallet: scelte consapevoli anche a causa del budget iniziale che non era certamente alto.

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Abbiamo costruito questo posto in famiglia, io ho potuto dare sfogo a un’altra delle mie passioni, il design e l’arredamento. È stato infinitamente soddisfacente fare tutto home made. L’unica consulenza esterna è stata quella di un ingegnere che ci ha aiutato a dividere gli spazi per ottenere il massimo dall’acustica degli ambienti e offrire il massimo ai nostri artisti. Una particolarità: una delle sale prove è costruita sopra alla vecchia buca delle riparazioni auto: ora è coperta da una botola, che viene aperta quando serve come parco suoni per registrazioni che richiedano un riverbero naturale. Siamo orgogliosi di questo posto, ma soprattutto di averlo creato insieme.

Articolo: Martina Aldegheri  Shooting fotografico: Barbara Rigon

Adriano Mujelli

Founder - Photographer

Fotografo? Sì, ma voyeuristico. Pittore? No, imbianchino sofisticato. Creativo? Mai dopo le quattro di notte.